sabato 13 Settembre 2025
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Campobasso

Campobasso, 23 anni per l’omicidio di Rayko: un verdetto tra dolore e ombre.

La sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Campobasso, depositata in serata, ha inflitto a Ennio Amorfino una condanna a ventitré anni di reclusione per l’efferato omicidio di Todorov Rayko, lavoratore agricolo di origine bulgara, barbaramente aggredito e ucciso a Santa Croce di Magliano nella notte tra il 7 e l’8 febbraio 2024.
La decisione, seppur inferiore alla richiesta di ergastolo avanzata dall’accusa, segna la conclusione di un processo carico di dolore e di interrogativi ancora aperti.
Il Pubblico Ministero, nel formulare la richiesta più severa, aveva argomentato la premeditazione e la crudeltà del gesto, invocando l’aggravante della gravità del dolo e della particolare violenza commessa.
La parte civile, rappresentata dagli avvocati Carmine e Alessio Verde, si era allineata a questa linea di pensiero, sostenendo la necessità di una risposta esemplare per i familiari della vittima, profondamente segnati da una perdita irreparabile.

L’avvocato Marinelli, difensore di Amorfino, aveva invece invocato l’assoluzione del suo assistito, argomentando la mancanza di prove definitive che lo incriminassero direttamente nell’azione violenta e, in via subordinata, sollecitando l’attenuazione della pena, escludendo contestazioni legate a moventi futili e richiedendo l’applicazione del minimo edittale.

La ricostruzione fornita dalla Procura della Repubblica, basata sugli elementi raccolti durante le indagini, suggerisce un tragico intreccio di circostanze sfortunate.

Todorov Rayko, a seguito di una smarrimento mentre rientrava al suo alloggio, si è trovato in una posizione vulnerabile, in un luogo e in un momento in cui, presumibilmente, stava assistendo a un episodio criminale, forse un tentativo di furto.
L’ipotesi, sebbene non provata in maniera definitiva, apre uno scenario inquietante, sollevando interrogativi sulle dinamiche che hanno portato alla sua morte.

La possibilità che Rayko, involontariamente, sia diventato testimone di un’attività illecita e che la sua eliminazione sia stata un tentativo di insabbiare il tutto, rappresenta un elemento centrale per comprendere la gravità del caso.

La detenzione di Amorfino, disposta immediatamente dopo l’arresto, ha segnato l’inizio di un percorso giudiziario complesso, caratterizzato da un acceso dibattito e da divergenze interpretative degli elementi probatori.
La sentenza, pur riconoscendo la responsabilità di Amorfino, sembra indicare una valutazione complessiva che ha portato ad una riduzione della pena rispetto alla richiesta più severa.

Il verdetto lascia, tuttavia, un senso di amarezza e di incertezza, alimentando la necessità di ulteriori approfondimenti per fare luce sulla verità dei fatti e per offrire una risposta compiuta alla sofferenza dei familiari di Todorov Rayko, espatriati lontani dalla propria terra e dilaniati dal dolore per una perdita così improvvisa e violenta.

La vicenda, inoltre, riemerge come monito sulla vulnerabilità dei lavoratori migranti e sulla necessità di garantire sicurezza e dignità a chi contribuisce con il proprio lavoro a sostenere l’economia locale.

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