Il cuore di Vittorio Feltri, strappato alle frenetiche dinamiche milanesi, si è proiettato, attraverso le onde digitali, nella sala consiliare di Termoli, in una vibrante dichiarazione d’amore per le sue origini.
L’onorificenza del Molise e della ‘Fierezza Sannita’, conferita dal Consiglio regionale, è stata accolta con un’emozione palpabile, una sorta di struggente nostalgia per i luoghi che plasmarono la sua identità.
La sua voce, visibilmente commossa, ha evocato un’infanzia trascorsa a Guardialfiera, un’immersione sensoriale in un paesaggio che continua a risuonare nel suo animo.
Più che un luogo geografico, Guardialfiera è divenuta una condizione esistenziale, un’eredità immateriale che definisce la sua appartenenza.
L’affermazione “Io sono di Guardialfiera” non è una semplice constatazione, ma un’affermazione di sé, un’ancoraggio a un passato intriso di semplicità e autenticità.
Il desiderio ardente di ritorno, culminato nella promessa di morire a Guardialfiera, si configura come una ricerca di compiutezza, un anelito a riconnettersi con le radici che nutrono la sua anima.
Il ricordo dei tuffi nel freddo Biferno, l’apprendimento dell’equitazione, sono tasselli di un mosaico affettivo che contrasta con la frenesia del suo presente lavorativo.
L’ombra di un’infrastruttura controversa, la diga del Liscione, ha pesantemente segnato il suo racconto.
La costruzione, percepita come un atto di violenza contro il territorio e la memoria collettiva, ha strappato ai guardiesi “orti straordinari”, cancellando un’eredità di fertilità e prosperità.
Questo lamento per una perdita irrimediabile si estende a un rimpianto più ampio per un modello di sviluppo che ha anteposto l’efficienza tecnologica alla salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico.
Feltri, riconoscendo nell’indole dei molisani un riflesso della propria, ne celebra la resilienza, la tenacia e il profondo legame con la terra.
Questa identificazione, estesa all’intero territorio regionale, si manifesta in un desiderio struggente di appartenenza, un rimpianto per non poter vivere in questa terra che, a suo dire, gli assomiglia.
L’eco del suo recente libro, “Chi non legge è perduto”, si intreccia con la riflessione sulla perdita del territorio, equiparandola alla perdita di una figura paterna, un punto di riferimento essenziale per l’identità e il senso di appartenenza.
La fatica, intrinseca alla vita meridionale, è percepita non come un fardello, ma come un elemento formativo, un banco di prova per l’anima.
L’onorificenza, consegnata con affetto da Maurizio Varriano, viene interpretata come un riconoscimento del profondo amore di Feltri per le sue origini.
La modestia con cui il giornalista si descrive come un semplice “lavoratore” contrasta con la grandezza del sentimento che lo lega alla sua terra, un sentimento che trascende la mera professionalità per diventare una profonda e inestinguibile dichiarazione d’amore.
Il desiderio espresso è semplice, ma denso di significato: essere lì, con loro, a condividere la vita pulsante di un territorio che lo ha visto nascere e che continua a risuonare nel suo cuore.






