La mozione di sfiducia nei confronti della sindaca di Montenero di Bisaccia, Simona Contucci, promossa dalla minoranza consiliare, si configura come una reazione a un episodio che trascende la normale gestione amministrativa, sollevando interrogativi profondi sulla trasparenza, la legittimità dell’esercizio del potere e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
Il documento, firmato da Andrea Cardinali, Giulia D’Antonio, Fabio De Risio, Gianluca Monturano, Nicola Palombo e Tania Travaglini, e formalmente trasmesso al Prefetto di Campobasso, non si concentra su presunte lacune gestionali, bensì su un atto che appare come una violazione dei principi costituzionali e delle normative sulla protezione dei dati personali.
Al centro della controversia vi è una telefonata ricevuta da un nuovo residente a Montenero di Bisaccia, a seguito di un commento critico, seppur civile e legittimo, espresso sui suoi profili social.
La gravità del fatto risiede nella provenienza della chiamata: direttamente dalla sindaca, Contucci.
Il cittadino, dichiaratamente ignaro della sindaca e privo di qualsiasi precedente contatto, ha formalmente richiesto di conoscere l’origine dei suoi dati personali, richiesta rimasta fino ad oggi inesaudita, sia da parte della sindaca che dagli uffici comunali.
La minoranza consiliare, nel tentativo di innescare un dibattito pubblico e di ottenere risposte istituzionali, ha presentato un ordine del giorno urgente, volto a discutere la questione in Consiglio Comunale.
Questa richiesta è stata respinta dal Presidente del Consiglio, con un rifiuto formalizzato che ha ulteriormente esacerbato la situazione, negando la possibilità di una verifica pubblica e trasparente.
La mozione di sfiducia non mira a contestare presunte inefficienze amministrative, bensì a denunciare un comportamento che, a parere della minoranza, supera i limiti dell’agibilità istituzionale.
Si tratta di un atto potenzialmente intimidatorio nei confronti di chi, esercitando la libertà di espressione garantita dall’articolo 21 della Costituzione, esprime dissenso nei confronti dell’azione amministrativa.
L’episodio solleva interrogativi cruciali sul rapporto tra potere e cittadinanza, sulla necessità di salvaguardare la libertà di espressione e sulla responsabilità dei detentori di cariche pubbliche nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali, in particolare quelle previste dal Regolamento europeo (GDPR).
La telefonata, agendo come un tentativo di ricatto surrettizio, mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e compromette il principio della separazione dei poteri.
L’utilizzo del potere in questo modo, non solo appare eticamente riprovevole, ma costituisce un rischio per la stessa democrazia, erodendo la capacità dei cittadini di partecipare attivamente alla vita politica e di contestare, pacificamente, le decisioni prese dai rappresentanti eletti.
La vicenda pone l’urgenza di un profondo ripensamento del ruolo della leadership politica e dell’importanza di garantire un ambiente in cui la critica costruttiva possa fiorire senza timori e senza pressioni indebite.