L’episodio verificatosi nel carcere di Locri, dove due agenti di polizia penitenziaria hanno subito un’aggressione fisica da parte di un detenuto, solleva interrogativi urgenti sulla sicurezza del personale e sulle dinamiche interne all’istituto. L’atto violento, caratterizzato da percosse con pugni e schiaffi, ha causato contusioni che, sebbene giudicate guaribili in dieci giorni, rappresentano un sintomo di un disagio più profondo che affligge il sistema penitenziario. Questa non è un’anomalia isolata, ma parte di una serie di aggressioni al personale, evidenziando una progressiva escalation della tensione e della conflittualità all’interno della struttura.Il segretario provinciale del Sappe di Reggio Calabria, Franco Denisi, ha giustamente sottolineato l’intollerabilità di tali comportamenti, che minano la serenità del lavoro e la sicurezza degli operatori. La richiesta di un intervento immediato e strutturale da parte dell’amministrazione penitenziaria riflette una crescente preoccupazione che non può essere ignorata.Giovanni Battista Durante e Francesco Ciccone, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario regionale del Sappe, hanno rafforzato questa istanza, proponendo una soluzione mirata: la creazione di istituti dedicati alla custodia dei detenuti più violenti, caratterizzati da un regime detentivo rigoroso e chiuso. Tale soluzione, lungi dall’essere una misura punitiva fine a se stessa, si configurerebbe come un elemento cruciale per la riaffermazione del controllo istituzionale e per la protezione del personale, consentendo, al contempo, di offrire un contesto più sicuro per la riabilitazione degli altri detenuti.La questione si complica ulteriormente quando si considera il meccanismo di trasferimento dei detenuti considerati pericolosi. Le segnalazioni, secondo cui tali soggetti, inizialmente spostati da Locri per motivi di ordine e sicurezza, vengono successivamente ricollocati nella stessa struttura, generano frustrazione e un senso di impotenza nel personale, vanificando gli sforzi volti a garantire un ambiente di lavoro più sicuro. Questo circolo vizioso alimenta la percezione di un sistema inefficiente e incapace di affrontare adeguatamente la problematica della violenza in carcere.L’applicazione delle restrizioni previste dall’articolo 14 bis dell’ordinamento penitenziario nei confronti del detenuto responsabile dell’aggressione è una misura doverosa, ma insufficiente se non accompagnata da un ripensamento radicale delle politiche penitenziarie e da un investimento significativo in risorse umane e infrastrutture. La sicurezza del personale non può essere un compromesso, ma una priorità assoluta, e richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga psicologi, educatori, mediatori culturali e forze dell’ordine, al fine di affrontare le cause profonde della violenza e di promuovere un percorso di reinserimento sociale efficace. La dignità del lavoro penitenziario, e la possibilità di garantire un reale percorso di riabilitazione per i detenuti, dipendono dalla capacità di arginare questo fenomeno in modo tempestivo e risolutivo.
Aggressione in Carcere: Tensioni a Locri e Richieste di Sicurezza
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