Colpo alle mafie, trafugavano tesori archeologici per milioni

Un’operazione di portata eccezionale, coordinata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Catanzaro e Catania, ha inferto un duro colpo a due sofisticate organizzazioni criminali specializzate nel saccheggio del patrimonio archeologico italiano.
L’attività, frutto di complesse indagini condotte dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, ha portato all’emissione di 56 provvedimenti cautelari, un segnale forte della ramificazione e della pericolosità di queste attività illecite.

A Catanzaro, l’azione ha coinvolto undici persone, con due in custodia cautelare e nove agli arresti domiciliari.
In Sicilia, il numero degli indagati è significativamente più elevato, con 45 provvedimenti tra carcerazione, arresti domiciliari, obblighi di dimora e presentazione alla Polizia Giudiziaria (due dei quali notificati all’estero), e una sospensione dell’esercizio di impresa a carico del titolare di una casa d’aste, evidenziando la sofisticazione dei canali di commercializzazione illegale.

Il valore stimato dei reperti archeologici sequestrati in Sicilia si aggira sui 17 milioni di euro, una cifra che testimonia l’entità del danno arrecato al patrimonio culturale nazionale.

Un elemento cruciale dell’inchiesta calabrese è l’aggravante mafiosa contestata agli indagati, legati alla cosca degli Arena di Isola Capo Rizzuto (Crotone).
Questa connessione criminale ha permesso alla cosca di estendere il proprio controllo territoriale e di accrescere la propria capacità di riciclaggio di denaro, dimostrando come la criminalità organizzata veda nel traffico di reperti archeologici una fonte di guadagno alternativa e redditizia.

Le indagini, iniziate a seguito della scoperta di numerosi scavi clandestini in diverse aree, hanno rivelato un’organizzazione complessa e ben strutturata, capace di operare in modo professionale e di eludere i controlli delle autorità.
Gli scavi illegali hanno interessato siti di inestimabile valore storico e archeologico, come i parchi archeologici nazionali di Scolacium, l’antica Kaulon e Capo Colonna.
Per massimizzare il profitto, la cosca degli Arena ha mirato a raggiungere mercati internazionali, reclutando esperti e appassionati del settore, elementi fondamentali per la valutazione e la vendita dei reperti.
L’inchiesta siciliana ha svelato una rete ancora più ampia, con associazioni dedite a scavi sistematici in siti archeologici riconosciuti a livello regionale e nazionale, operanti nelle aree di Catania e Siracusa.
Il vasto assortimento di reperti sequestrati, comprendente monete d’oro e di bronzo (alcune uniche e di eccezionale rarità), centinaia di vasi fittili (tra cui crateri a figure nere e rosse perfettamente conservati), fibule protostoriche, anelli in bronzo, pesi, monete primitive, fibbie, punte di freccia e askos buccheroide, riflette la ricchezza e la varietà del patrimonio culturale depredato.

Secondo le accuse, le azioni dei criminali non si sono limitate alla semplice sottrazione di beni culturali, ma hanno contribuito a consolidare il potere della cosca Arena, che ha utilizzato i proventi illeciti per alimentare le proprie attività criminali.

Le dichiarazioni dei pubblici ministeri coinvolti sottolineano l’evoluzione delle strategie criminali, che vedono nel traffico di reperti archeologici un business di primo piano, superato solo dal traffico di droga e di armi.
L’inchiesta, come evidenziato, offre uno spaccato sconcertante sulla pervasività della criminalità organizzata, che si insinua anche nel sottosuolo, depredando le ricchezze storiche e artistiche di una regione.

Il valore dei beni sequestrati è talmente elevato da poter alimentare la creazione di uno dei più importanti musei archeologici d’Italia, un paradosso amaro che riflette la perdita irreparabile di un inestimabile patrimonio.

- pubblicità -
- Pubblicità -
- pubblicità -
Sitemap