Un colpo durissimo alla criminalità organizzata, in particolare alla ‘ndrangheta, si è concretizzato con la confisca di beni per un valore complessivo superiore ai 140 milioni di euro. Il provvedimento, disposto dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della DDA, diretta dal procuratore Giuseppe Lombardo, segna un’ulteriore tappa nell’inchiesta “Andrea Doria”, che ha portato alla luce un sofisticato e ramificato sistema di frodi fiscali nel settore del commercio di prodotti petroliferi.L’indagine, condotta dalla Guardia di Finanza, ha svelato una struttura complessa, in cui l’evasione fiscale non era un episodio isolato, ma una prassi sistematica e profondamente radicata. Il meccanismo fraudolento si fondava sull’utilizzo di società di comodo, con sede legale in Italia e all’estero, che simulavano operazioni commerciali attraverso “triangolazioni” artificiose. Queste operazioni, prive di una reale giustificazione economica, permettevano di eludere il pagamento dell’IVA e delle accise, sfruttando, in alcuni casi, l’istituto della dichiarazione di intento, un regime fiscale agevolato che consente l’esenzione dall’IVA in determinate condizioni.La ‘ndrangheta, in questo contesto, non si limitava a riciclare i proventi illeciti, ma si inseriva attivamente nella filiera distributiva, controllando l’intera catena, dal deposito fiscale fino alle stazioni di servizio. Questo controllo veniva esercitato attraverso una rete di intermediari: imprese fittizie, depositi commerciali e broker locali, ognuno dei quali contribuiva a rendere più opaca e complessa la traccia delle transazioni.Le società “cartiere” (di comodo), elemento chiave del sistema, presentavano in maniera fraudolenta di possedere tutti i requisiti necessari per beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge, ottenendo l’acquisto di prodotti petroliferi esenti da IVA. Successivamente, i prodotti venivano alienati, apparentemente in condizioni di concorrenza, a clienti selezionati, penalizzando così gli imprenditori onesti che operavano nel rispetto delle normative fiscali.Il processo è attualmente in corso, ma le indagini hanno già rivelato un ulteriore aspetto preoccupante: un sofisticato sistema di riciclaggio di denaro sporco, gestito anche attraverso legami con famiglie di ‘ndrangheta che avevano interessi diretti nel settore della distribuzione di prodotti petroliferi. Questa connessione rafforza l’ipotesi che la criminalità organizzata non si limitasse a sfruttare il sistema, ma ne fosse un attore centrale.I cinque imprenditori coinvolti, ritenuti complici e collegati a diverse consorterie di ‘ndrangheta, avrebbero non solo partecipato a sodalizi criminali egemoni nella Piana di Gioia Tauro e nella Locride, ma avrebbero anche operato al servizio di altre articolazioni criminali, con il compito specifico di riciclare i proventi derivanti da attività illecite, utilizzando le proprie aziende come veicolo.La confisca, estesa all’intero territorio nazionale e alla Germania, ha interessato un vasto patrimonio aziendale, comprendente 79 immobili (58 terreni e 21 fabbricati), dislocati in diverse province italiane (Reggio Calabria, Catanzaro, Roma, Frosinone e Novara), 85 veicoli, 28 imprese (di cui 3 in Germania), un’azienda agricola, una società di locazione immobiliare (con 8 fabbricati, principalmente a Roma), mobili registrati (un motoveicolo e 7 autoveicoli), 4 orologi di lusso, circa un milione di euro in contanti e disponibilità finanziarie, anch’esse detenute all’estero. Questo provvedimento rappresenta un significativo passo avanti nella lotta alla criminalità organizzata e un messaggio chiaro: il patrimonio illecitamente accumulato non resterà impunito.
Confisca da 140 milioni: duro colpo alla ‘ndrangheta petrolifera
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