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Crisi nel Carcere di Cosenza: Allarme Sicurezza e Personale

L’ennesima operazione antidroga, culminata nel sequestro di cinquanta dispositivi mobili e una quantità significativa di stupefacenti – cinquanta grammi tra hascisc e cocaina – ha portato alla luce una situazione di profonda crisi nel carcere di Cosenza, sollevando interrogativi urgenti sulle condizioni di sicurezza e il benessere del personale penitenziario.
La denuncia, resa pubblica dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) attraverso un comunicato ufficiale, non è un episodio isolato, ma l’apice di un allarme cronico.
Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Francesco Ciccone, segretario regionale, hanno espresso una preoccupazione radicata, frutto di un’analisi approfondita e di un contatto diretto con il personale.
La recente visita ha confermato quanto lamentato dagli agenti, dipingendo un quadro di degrado che va ben oltre la mera problematica della contrabbando.

Si tratta di una perdita di controllo che riflette un sistema in affanno, un ambiente di lavoro sottoposto a pressioni insostenibili e a una carenza di risorse che compromettono la capacità di garantire la sicurezza sia dei detenuti che del personale.
L’episodio attuale non è solo una questione di ritrovamento di droga e telefoni proibiti, ma un sintomo di una gestione carceraria inefficace.

Il sequestro rappresenta un fallimento nella prevenzione, una violazione dei protocolli di sicurezza che evidenzia una mancanza di vigilanza e di adeguate misure di controllo.
Il problema non è solo la presenza di oggetti illeciti, ma la capacità di questi di penetrare all’interno del carcere, eludendo i sistemi di controllo e segnalando un’erosione del senso di responsabilità e di efficacia.
La richiesta di un intervento immediato, con la sostituzione dei vertici dell’istituto penitenziario, non è un atto di polemica fine a se stesso, ma una necessità impellente.
Il Sappe sottolinea l’inadeguatezza dimostrata non solo nella gestione della sicurezza, ma anche nelle dinamiche relazionali con il personale, generando un clima di sfiducia e demotivazione che incide negativamente sulla qualità del lavoro e sulla sicurezza stessa.

La questione sollevata non si limita all’istituto di Cosenza, ma riflette una problematica più ampia che affligge il sistema penitenziario italiano: una carenza strutturale di risorse umane e materiali, una formazione insufficiente del personale, una gestione centralizzata che ignora le specificità locali e una cultura del controllo formale che sacrifica l’efficacia e la sicurezza.

La crisi del carcere di Cosenza è un campanello d’allarme che richiede un’azione decisa e concertata a livello nazionale, un ripensamento radicale delle politiche penitenziarie e un investimento significativo nel benessere e nella sicurezza del personale penitenziario, pilastro fondamentale per il rispetto dei diritti umani e la riabilitazione dei detenuti.

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