Venticinque figure di gabbiani, in un volo ascensionale e silente, si stagliano ora sul lungomare di Monasterace, metamorfosi metalliche di un lutto che ancora pulsa. L’opera “L’Amore che non muore”, concepita dal maestro Antonio La Gamba, non è solo una scultura in acciaio satinato, plasmata con maestria al plasma, ma un potente atto memoriale dedicato alle vittime inghiottite dalla Strada Statale 106, la “Maledetta”.La SS106, un nastro d’asfalto tortuoso e insidioso che per decenni ha rappresentato un dramma continuo per la comunità reggina, si erge come simbolo di un’infrastruttura inadeguata, di promesse disattese e, soprattutto, di vite spezzate in modo prematuro e spesso evitabile. L’inaugurazione di questa scultura, più che una semplice cerimonia, si configura come un momento di riflessione urgente e dolorosa.Il sindaco di Monasterace, Carlo Murdolo, ha sollevato con fermezza la questione della responsabilità collettiva. Non è sufficiente il ricordo, la commozione o il tributo solenne. È imperativo esigere con determinazione infrastrutture moderne e sicure, investimenti che vadano oltre la mera apparenza e che affrontino le reali criticità della SS106. Parallelamente, è fondamentale promuovere una cultura della guida responsabile e consapevole, un impegno che deve partire da ognuno di noi.Andrea Anania, zio di Francesco Ciccio Paparo, una delle vittime strappate alla vita dalla strada, ha rivolto un appello commovente, in particolare ai giovani: il peso di un lutto simile, l’eco di una perdita irreparabile, si portano dietro per sempre. Questa opera, intesa come specchio di bellezza e riflessione, deve fungere da monito costante, un promemoria incessante a mantenere alta la soglia dell’attenzione, a non cedere alla distrazione o alla superficialità al volante.Fabio Pugliese, direttore operativo dell’organizzazione “Basta vittime sulla Strada statale 106”, ha espresso con profonda emozione l’impatto dell’opera. Anni di testimonianza diretta, di corpi straziati e vite troncate, hanno lasciato un segno indelebile. Trasformare i resti contorti della SS106 in creature alate, simbolo di elevazione e libertà, è un atto di speranza potente, un auspicio che quelle tragedie possano cessare, una volta per tutte. Non si tratta solo di ricordare, ma di agire concretamente, di costruire un futuro in cui la strada non rappresenti più una minaccia, ma un percorso sicuro per tutti. La scultura, quindi, è un atto d’accusa, un grido di speranza e un invito all’azione, un impegno collettivo per un futuro più giusto e sicuro.
Monasterace: Gabbiani d’acciaio contro la Maledetta SS106
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