Un’operazione giudiziaria di ampia portata ha sconvolto il panorama sanitario calabrese, con l’arresto e la colocazione ai domiciliari di cinque dirigenti medici, tre infermieri e due funzionari dell’Ufficio Attività Libero Professionale Intramoenia (ALPI) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Dulbecco” di Catanzaro.
L’inchiesta, condotta congiuntamente dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri, ha portato alla luce un sistema complesso e ramificato di illeciti che ha compromesso l’integrità del servizio sanitario pubblico e leso il patrimonio dello Stato.
Oltre agli arrestati, l’indagine coinvolge complessivamente quattordici persone, tra cui un imprenditore del settore medicale, e un ex dirigente medico sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
A carico degli indagati sono state formulate accuse gravissime, che spaziano dall’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione e alla frode fiscale, alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’accesso abusivo e manipolazione di sistemi informatici, alla falsità ideologica in atti amministrativi e certificati, al peculato, alla fabbricazione e utilizzo di fatture false, fino al riciclaggio e all’auto-riciclaggio di capitali illeciti.
A un altro dirigente medico è stata imposta la misura cautelare del divieto di dimora a Catanzaro.
Il provvedimento di custodia cautelare, disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari di Catanzaro su richiesta della Procura della Repubblica, è accompagnato dal sequestro di circa un milione di euro, considerato presumo profitto derivante dalle attività criminali.
Le indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS) dei Carabinieri, hanno ricostruito un quadro inquietante: otto dirigenti medici, con la complicità di funzionari dell’Ufficio ALPI, avrebbero sistematicamente e per anni esercitato attività intramoenia estesa, gestendo visite specialistiche in studi privati al di fuori della struttura ospedaliera.
Questo comportamento, palesemente in violazione delle normative vigenti, prevedeva l’autonomia nella gestione delle visite, la riscossione diretta da parte dei medici, in contanti, del compenso prestazionale e il versamento all’azienda ospedaliera di una quota minima, insufficiente a riflettere il reale valore delle prestazioni erogate.
L’obiettivo primario di tale sistema era l’occultamento dell’illegittimità delle condotte e l’arricchimento personale dei dirigenti coinvolti, a danno della collettività e del servizio sanitario pubblico.
La vicenda solleva interrogativi profondi sulla governance e i controlli all’interno dell’azienda ospedaliera e sottolinea l’urgenza di un’azione decisa per ripristinare la legalità e l’etica nella sanità calabrese.