La definitiva sentenza del processo Stige, emessa dalla Corte di Cassazione, segna un capitolo cruciale nella lotta alla ‘ndrangheta Farao-Marincola di Cirò, una struttura criminale che per decenni ha esercitato un controllo capillare e soffocante sul territorio.
L’esito del lungo iter giudiziario, che ha coinvolto complessivamente 44 imputati e si è sviluppato attraverso un rito ordinario, non solo cristallizza le dinamiche interne alla cosca, ma solleva interrogativi profondi sui complessi rapporti tra criminalità organizzata, tessuto economico e potere istituzionale locale.
Il processo, che ha svelato un sistema di monopolio in settori vitali come la produzione e distribuzione di pane e vino, nonché nella gestione dei rifiuti, ha rivelato ramificazioni operative anche oltre i confini nazionali, con legami documentati in Germania.
La sentenza, pur confermando la gravità delle responsabilità di numerosi esponenti della cosca, ha delineato una lettura più sfumata rispetto alle iniziali accuse che ipotizzavano un’ampia collusione tra la ‘ndrangheta e la cosiddetta “zona grigia” – un sistema di relazioni opache che avrebbe dovuto inquadrare figure di spicco del mondo imprenditoriale, politico e amministrativo locale.
La conferma delle condanne, con particolare rilevanza per il boss storico Giuseppe Farao, figura centrale dell’organizzazione criminale e destinatario di una pena detentiva pari a 24 anni, testimonia la tenacia dell’azione giudiziaria nel perseguire i vertici della cosca.
Tuttavia, l’assoluzione di numerosi imputati, tra cui ex amministratori locali come Nicodemo Parrilla e Michele Laurenzano, e di figure chiave del mondo imprenditoriale – Antonio Giorgio Bevilacqua, Giuseppe Clarà, Cataldo Malena e Valentino Zito – indica una revisione delle ipotesi accusatorie che aveva portato alla loro detenzione e al successivo scioglimento dei consigli comunali.
La Cassazione, rigettando il ricorso della Procura Generale, ha sostanzialmente accolto le argomentazioni difensive che ne avevano contestato la sussistenza di un patto organico, un accordo formale e strutturato, tra la cosca Farao-Marincola e le élite locali.
Questo non significa, tuttavia, che l’associazione mafiosa sia stata disconosciuta.
Al contrario, la sentenza ribadisce con forza la natura criminale della struttura di ‘ndrangheta, consolidando le condanne per Salvatore Papaianni, Vincenzo Giglio e Giuseppe Berardi, figure chiave rispettivamente nei territori di Cirò e Strongoli.
L’esito del processo Stige, dunque, rappresenta un’analisi complessa e articolata.
Pur sancendo la colpevolezza di una parte significativa degli imputati e confermando la pericolosità della ‘ndrangheta Farao-Marincola, evidenzia la difficoltà di ricostruire con certezza i meccanismi di collusione e le relazioni di potere che hanno permesso alla cosca di radicarsi e prosperare nel territorio.
La sentenza, lungi dall’essere una conclusione definitiva, apre nuovi interrogativi e sollecita una riflessione approfondita sulle fragilità del sistema istituzionale e sulla necessità di rafforzare le strategie di contrasto alla criminalità organizzata, non solo attraverso l’azione giudiziaria, ma anche attraverso un impegno costante per promuovere la legalità e lo sviluppo economico e sociale del territorio.






