La notte del 9 settembre 2000, la comunità di Soverato, e l’intera Calabria, fu straziata da una catastrofe che si sarebbe impressa indelebilmente nella memoria collettiva: l’alluvione del torrente Beltrame, che spazzò via il campeggio Le Giare.
La furia delle acque, in un impeto inaspettato e devastante, portò via con sé la vita di tredici persone, tra cui disabili e instancabili volontari dell’Unitalsi di Catanzaro, impegnati in un’esperienza di vacanza e di condivisione.
A distanza di un quarto di secolo, il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, riflette su quell’evento, non come un mero ricordo del passato, ma come una responsabilità ancora aperta, un monito costantemente attuale.
Quella che avrebbe dovuto essere una serena conclusione d’estate si trasformò in un’esperienza traumatica, un nodo di dolore che continua a stringere il cuore di una comunità intera.
Le storie individuali, le vicende personali di chi perse i propri cari, si intrecciano in un tessuto di cordoglio e di commemorazione, celebrando l’eroismo silenzioso di coloro che, in un atto di altruismo supremo, sacrificarono la propria esistenza per salvare quella degli altri.
La tragedia di Le Giare non è soltanto una ferita aperta, ma un punto di svolta cruciale.
Essa ha rivelato, con cruda evidenza, la profonda vulnerabilità del territorio calabrese, esposto all’azione incontrollata degli elementi naturali.
Il dissesto idrogeologico, una sfida complessa e urgente, ha assunto, dopo quella notte, una dimensione nuova e dolorosamente concreta.
L’evento non può essere relegato a un capitolo chiuso, bensì deve costituire il motore di un impegno costante e condiviso.
È imperativo che chi detiene cariche pubbliche, ma anche ogni singolo cittadino, investa energie e risorse nella promozione di una cultura della prevenzione, nella gestione sostenibile del territorio e nella ricerca di soluzioni innovative per mitigare i rischi naturali.
Ciò implica non solo interventi infrastrutturali, ma anche una profonda riflessione etica e una revisione delle pratiche urbanistiche, spesso causa di un’insensibile erosione della sicurezza del territorio.
Il ricordo delle vittime, mantenuto vivo da venticinque anni, non è un mero rituale commemorativo, ma un imperativo morale.
Trasformare il dolore in azione, canalizzare la sofferenza in coraggio, significa adottare comportamenti e realizzare progetti che proteggano le generazioni future da simili catastrofi.
Significa onorare la memoria di chi non c’è più, trasformando il lutto in un impegno concreto per un futuro più sicuro e resiliente per la Calabria.
La sfida è complessa, ma la responsabilità è ineludibile: costruire, insieme, un territorio più giusto, più sicuro e più attento alla salvaguardia della vita umana.