La questione del ponte sullo Stretto di Messina richiede un’urgente revisione strategica e un’approfondita verifica di legittimità, al di là delle dichiarazioni di intenti.
La ripresa forzata di un appalto datato, con un’escalation dei costi superiore al 300%, solleva seri interrogativi sulla trasparenza e sulla corretta applicazione della normativa europea in materia di appalti pubblici.
In questo contesto, l’intervento del vicepresidente della Commissione Europea, Stéphane Séjourné, e la richiesta di un incontro rappresentano un segnale di allarme, una richiesta di accountability che il governo italiano non può ignorare.
La preoccupazione non è meramente contabile.
Si tratta di una questione di responsabilità politica e di gestione oculata delle risorse pubbliche, in un momento storico in cui il Paese è afflitto da fragilità industriali e da crescenti disuguaglianze sociali.
L’Anac aveva già espresso delle riserve, un suggerimento apparentemente ignorato, che ora rischia di costringere il governo a fronteggiare sanzioni potenzialmente significative e a compromettere l’immagine dell’Italia a livello internazionale.
Il blocco di 13,5 miliardi di euro in un progetto così controverso significa di fatto privare il Mezzogiorno di investimenti cruciali.
Queste risorse, se opportunamente riallocate, potrebbero accelerare la realizzazione di infrastrutture essenziali per lo sviluppo del territorio, completare i progetti già avviati e garantire la continuità operativa delle imprese edili, un settore fondamentale per l’economia locale.
La priorità dovrebbe essere data a interventi che generino un impatto positivo e misurabile sulla vita delle persone, non a progetti elefanti che rischiano di diventare un buco nero per le finanze pubbliche.
L’analisi del rapporto “Silos” della Camera dei Deputati mette in luce una situazione allarmante: una carenza di risorse complessiva di 18 miliardi per le opere strategiche in Calabria e Sicilia, con un deficit particolarmente grave per le infrastrutture ferroviarie (8 miliardi) e stradali (10 miliardi).
Questo dato è una fotografia eloquente delle distorsioni nelle priorità di investimento, che favoriscono progetti di grande risonanza mediatica a scapito di interventi più pragmatici e funzionali alle reali esigenze del territorio.
La realizzazione del ponte, in questo contesto, appare un’aberrazione, un diversivo che allontana l’attenzione dai problemi reali e che perpetua una visione superata dello sviluppo infrastrutturale.
È imperativo adottare un approccio più responsabile e orientato ai risultati, che tenga conto delle esigenze delle imprese, della carenza di manodopera specializzata e della necessità di completare le opere già in corso.
Un cambio di rotta è urgente, non solo per evitare sprechi e irregolarità, ma soprattutto per garantire un futuro più equo e prospero per il Mezzogiorno d’Italia.





