L’attuale deliberazione riguardante la costruzione del ponte, un’opera infrastrutturale di vaste proporzioni, solleva interrogativi profondi e meritano un esame critico che vada oltre la semplice valutazione di un investimento.
Non si tratta solo di una questione di costi, ma di una priorità strategica che impatta direttamente sullo sviluppo e la competitività di un’intera regione e, per estensione, dell’Italia.
Un’analisi disincantata, condivisa da una parte significativa della cittadinanza, da associazioni di controllo e persino da esperti internazionali nel campo dell’ingegneria civile, mette in discussione la reale necessità e l’efficacia dell’opera.
Le risorse finanziarie destinate al progetto, consistenti e ingenti, rappresentano un drenaggio di capitali che, in un contesto di carenze strutturali preesistenti, appaiono sproporzionati e potenzialmente dannosi.
La Sicilia, come molte altre aree del Paese, soffre di un tessuto infrastrutturale fragile e incompleto.
Tratte ferroviarie a binario unico, carenza di collegamenti efficienti e infrastrutture essenziali per lo sviluppo economico e sociale continuano a rappresentare un freno alla crescita.
Destinare miliardi di euro a un’opera come il ponte, in un momento in cui tali carenze persistono, appare un errore di prospettiva che sacrifica interventi più urgenti e incisivi.
Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha espresso chiaramente questa preoccupazione, sottolineando come l’investimento si riveli un ostacolo al progresso.
L’allocazione di tali ingenti somme andrebbe rivista, indirizzando i fondi verso un modello di sviluppo più equilibrato e sostenibile.
Un’idea di sviluppo moderna non si limita alla realizzazione di infrastrutture materiali, come ponti e strade.
Richiede anche investimenti in strutture immateriali: ricerca e sviluppo, istruzione, innovazione tecnologica, capitale umano.
Il divario tecnologico che affligge l’Italia necessita di un’inversione di rotta, un cambio di paradigma che orienti gli investimenti verso settori strategici per il futuro del Paese.
L’attuale decisione, invece, sembra perpetuare un approccio superato, focalizzato su soluzioni infrastrutturali di larga scala, a scapito di interventi mirati a stimolare la crescita e la competitività.
La prospettiva di avviare i lavori, posticipata al 2028, non allevia le preoccupazioni.
Il tempo che intercorre continua a comportare un blocco di risorse che potrebbero essere impiegate in modo più efficace per affrontare le sfide pressanti che l’Italia si trova ad affrontare.
La priorità deve essere quella di creare un ambiente favorevole alla crescita, investendo in un futuro sostenibile e inclusivo per tutti.






