La crisi yemenita è esplosa in una nuova fiamma con l’intervento militare israeliano nel porto di Hodeida, un importante snodo commerciale controllato dal ribelle houthista. La decisione del premier israeliano a far saltare le sue bombe su questo porto strategico si inserisce in una sequenza logica rispetto alle azioni della scorsa settimana che hanno visto la distruzione dell’aeroporto di Sanaa. Gli Houthi, da sempre ostili al regime saudita e alle truppe coalizzionate, avevano lanciato un missile che si era schiantato nella zona dove sorge l’intera struttura dell’aeroporto internazionale del loro principale avversario, Tel Aviv. Le pretese dichiarazioni di Benjamin Netanyahu sulla distruzione della capacità missilistica degli Houthi sembrano ormai essere state confermate dall’intervento militare israeliano nella città yemenita dove i ribelli controllano l’accesso al Mar Rosso e hanno quindi un ruolo cruciale nell’erogazione di cibo e viveri alla popolazione affamata del paese.Le cause della crisi sono da ricercarsi in gran parte nella guerra civile che nel 2015 ha spazzato via le ultime istituzioni democratiche del paese, quando i ribelli houthisti hanno rovesciato il governo legittimo e l’ex presidente Abdrabbuh Mansur Hadi si è trasferito a Aden. La crisi politica è sfociata in una guerra civile dove gli Houthi sono sostenuti dal Iran, un alleato tradizionale del regime saudita che, insieme agli emiratini e ad altre truppe arabe, ha intrapreso la campagna militare contro i ribelli houthis.L’operazione israeliana si inserisce dunque nel contesto di una guerra globale di potere e di influenza tra Israele e l’Iran che continua a essere combattuta sui vari fronti del Golfo, ma il problema iniziale è la paura per i sempre più numerosi attacchi terroristici lanciati dall’organizzazione jihadista Isis contro le popolazioni civili yemenite e israeliane.