La scena si staglia nitida sul lungomare di Bagnoli: una donna, la voce incrinata al telefono, narra con apprensione la recente esperienza, quel fragore improvviso che ha squarciato la quiete, seguito da un’involontaria vibrazione che ha scosso le fondamenta.
Il suo abbigliamento – ciabatte leggere e un pareo svolazzante – contrasta con l’urgenza della conversazione, l’angoscia palpabile che traspare dalle sue parole.
La sua andatura, verso la spiaggia, incarna più di ogni altra cosa la peculiare risposta degli abitanti del territorio flegreo di fronte all’ennesima scossa sismica.
Non si tratta di semplice paura, sebbene questa sia inevitabile.
Piuttosto, si percepisce un complesso intreccio di sentimenti: un fatalismo radicato, frutto di secoli di convivenza con un vulcano dormiente, una rassegnazione stoica che affonda le sue radici nella storia millenaria di questa terra, e, soprattutto, una resilienza straordinaria, la capacità di reinventarsi, di ricostruire non solo edifici, ma anche la propria serenità di fronte all’incertezza.
Il Campi Flegrei, un supervulcano attivo, è parte integrante dell’identità di chi vi abita.
Non è un rischio esterno, una minaccia da temere e allontanare, ma una condizione esistenziale, una costante che modella il paesaggio, l’economia e, soprattutto, la mentalità.
La terra trema, e trema spesso, ma la vita continua.
Non si tratta di negare il pericolo – anzi, la consapevolezza è acuta – ma di accettarlo come un elemento ineludibile del vivere quotidiano.
Questa capacità di adattamento non è solo una questione di abitudine, ma una strategia di sopravvivenza, una forma di resistenza silenziosa.
Le case, spesso costruite su terreni instabili, rappresentano molto più di un semplice rifugio: sono il simbolo di una storia, di una comunità, di un legame indissolubile con il territorio.
Abbandonarle significherebbe rinnegare un’eredità, perdere un’identità profondamente radicata.
L’azione di queste persone non è passiva.
Si tratta di una resilienza attiva, che si manifesta nella cura del paesaggio, nella riqualificazione delle aree più vulnerabili, nella promozione della ricerca scientifica volta a monitorare l’attività vulcanica e a mitigare i rischi.
È un impegno collettivo, un patto tacito tra gli abitanti e la terra che li ospita, un tentativo di costruire un futuro possibile, nonostante le incertezze.
La donna che cammina verso la spiaggia, con la paura negli occhi ma la schiena dritta, incarna perfettamente questa forza, questo coraggio, questa profonda, e irrinunciabile, connessione con il proprio territorio.