Nel dicembre del 2008, la tranquilla comunità di Casalserugo, in provincia di Padova, fu scossa da un efferato omicidio. Maria Pellegrini, una stimata maestra in pensione di settantotto anni, venne rinvenuta senza vita nella sua abitazione, vittima di asfissia provocata dall’applicazione di un cellophane sul volto. Il caso, inizialmente inchiostro nero per la sua brutalità e la mancanza di apparenti moventi, si era raffreddato nel tempo, trasformandosi in un cold case.Ora, a distanza di anni, il caso Pellegrini riemerge prepotentemente grazie ai progressi tecnologici nel campo dell’analisi del DNA. Un cittadino albanese di quarantasette anni, già detenuto per furto, è finito sotto la lente d’ingrandimento, oggetto di indagine per questo omicidio irrisolto. Il punto di svolta si configura nell’analisi di tracce di materiale genetico rinvenuto su un nastro adesivo utilizzato per sigillare il cellophane, confrontabile con il profilo genetico dell’indagato.La Procura della Repubblica di Padova, guidata da un’approfondita riflessione sulla possibile riapertura del caso alla luce delle nuove evidenze scientifiche, ha formalmente richiesto una perizia in incidente probatorio. Questa procedura, volta a chiarire in modo inoppugnabile il legame tra l’indagato e la scena del crimine, coinvolge due esperti di spicco: il dottor Ugo Ricci, dell’ospedale Careggi di Firenze, e il dottor Carlo Previdere, dell’Unità Medicina Legale e Scienze Forense dell’Università di Pavia.L’udienza per l’assegnazione dell’incarico peritale è stata fissata, garantendo la presenza dei consulenti legali delle parti coinvolte: l’avvocato Gianni Morrone, che rappresenta gli eredi della vittima, e gli avvocati Luana Masiero e Fabio Crea, rispettivamente difensori dell’indagato. Quest’ultimo, nel dimostrare una scrupolosa attenzione alla correttezza della procedura, ha espressamente richiesto che l’accertamento fosse eseguito da un perito nominato dal giudice, includendo una verifica completa della catena di custodia dei reperti biologici e dei protocolli di acquisizione del DNA.L’indagine originaria aveva preso in considerazione diverse piste, tra cui presunte controversie commerciali legate al considerevole patrimonio immobiliare della vittima, stimato in diversi milioni di euro. Maria Pellegrini, nonostante l’età avanzata, gestiva personalmente i suoi affari con fermezza, una caratteristica che potrebbe aver generato inimicizie. Nonostante l’ipotesi di una rapina finita tragicamente, l’assenza di gioielli o ingenti somme di denaro in casa la rendeva meno plausibile. La nuova analisi del DNA, pertanto, riapre uno scenario in cui il movente potrebbe celarsi in dinamiche più complesse e personali, richiedendo un’indagine meticolosa e un’attenta ricostruzione degli eventi che portarono alla morte della donna. La speranza è che la scienza possa fare luce su un caso che ha lasciato un segno profondo nella comunità padovana, portando a una giustizia ritardata ma, auspicabilmente, definitiva.