lunedì, 23 Giugno 2025
CronacaFuggire dall'Iran, un sollievo velato di...

Fuggire dall’Iran, un sollievo velato di angoscia.

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Il sollievo palpabile, un misto di gioia e sgomento, si avvolgeva attorno a chi, fuggendo dall’Iran, posava i propri piedi in Italia dopo il drammatico 13 giugno. Un ritorno che, pur intriso di gratitudine, portava con sé l’eco persistente di un evento traumatico: il ruggito dei missili, impresso nella memoria come un sigillo doloroso. Ma l’allegria era velata, appannata da una paura tangibile, un’incertezza lacerante per coloro che, inevitabilmente, erano rimasti indietro.Non si trattava di una semplice paura per la sicurezza immediata, ma di una preoccupazione più profonda, un senso di impotenza di fronte a un futuro imprevedibile. Il pensiero costante era rivolto a familiari, amici, vicini, intrappolati in una situazione geopolitica sempre più instabile. Come avrebbero affrontato le conseguenze dell’attacco? Come avrebbero potuto proteggere se stessi e i propri cari?Le prime notti in Italia erano state segnate da un’inquietudine profonda, un’eco lontana ma ancora percepibile dei boati e delle sirene. I sogni, per molti, erano stati popolati da immagini frammentate, da scene di panico e di distruzione. La realtà, però, era altrettanto spaventosa: la consapevolezza di aver lasciato alle spalle una terra in pericolo, una comunità vulnerabile.L’esperienza ha scosso le fondamenta di un’identità, ha messo in discussione le certezze, ha amplificato la sensibilità verso le ingiustizie e le sofferenze altrui. Il desiderio di ricostruire una nuova vita, pur presente, era intrecciato a un profondo senso di colpa per essere stati fortunati, per aver avuto la possibilità di fuggire.Questi migranti, questi rifugiati, non erano semplicemente persone in cerca di sicurezza; erano custodi di una cultura, di una storia, di un patrimonio umano che, in quel momento storico, si sentiva minacciato. Portavano con sé la speranza di un futuro migliore, ma anche il peso della responsabilità di preservare la memoria di ciò che avevano lasciato.Il loro arrivo in Italia rappresentava non solo una fuga dalla guerra, ma anche un atto di resilienza, una testimonianza della capacità umana di adattarsi, di reinventarsi, di cercare la luce anche nelle tenebre più profonde. E, soprattutto, un appello silenzioso alla comunità internazionale, un monito a non dimenticare la fragilità del mondo e la necessità di costruire un futuro basato sulla pace e sulla giustizia. La felicità era effimera, intrecciata alla costante angoscia per chi era rimasto, in attesa di notizie, di speranza, di un domani più sereno.

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