La recente iniziativa di un agricoltore della Val Gardena, che ha temporaneamente eretto un tornello a pedaggio su un sentiero panoramico sulle Odle, ha scatenato un acceso dibattito, riflettendo un disagio profondo che serpeggia tra le comunità alpine. Ben oltre la singola protesta, l’episodio è un campanello d’allarme che denuncia una trasformazione radicale del turismo nelle Dolomiti, un fenomeno sempre più caratterizzato da un modello “istantaneo”, superficiale e spesso irrispettoso dell’ambiente e delle tradizioni locali.Ricordiamo episodi simili in passato: la necessità di prenotare l’accesso in auto alla suggestiva chiesetta di Santa Maddalena in Val di Funes, o il sistema di prenotazione per il Lago di Braies, divenuto icona per i fan di “Un passo dal cielo”, testimoniano come la crescente affluenza turistica stia modificando l’accesso a luoghi un tempo accessibili e selvaggi. Paragoni con l’affollamento di Fontana di Trevi non sono esagerati, suggerendo un processo di mercificazione del paesaggio alpino che ne compromette l’autenticità.La denuncia lanciata dal presidente del CAI Alto Adige, Carlo Alberto Zanella, attraverso i social media, evidenzia la natura provocatoria dell’azione del contadino, ma soprattutto la sua legittima frustrazione. Il paesaggio non è più percepito come un bene comune da custodire, ma come uno sfondo per “tamarri”, influencer e youtuber alla ricerca del “click” perfetto per i social media. Questa forma di turismo, alimentata anche da scelte politiche che hanno incentivato l’afflusso indiscriminato, genera danni concreti al territorio.L’installazione del tornello, pur di breve durata, era un sintomo di un malessere più ampio: la stanchezza dei proprietari terrieri, esasperati dai ripetuti danni causati dall’incuria e dalla mancanza di rispetto da parte di molti visitatori. La loro testimonianza, riportata dalla rivista “La Usc di Ladins”, rivela un desiderio di sperimentare una reazione, di stimolare una riflessione sulla sostenibilità del modello turistico attuale.Carlo Zanella estende la sua critica al turismo “mordi-clicca-fuggi”, citando il caso del Seceda, dove l’arrivo di e-bike in quota e la discesa lungo gli alpeggi danneggiano irreparabilmente i prati alpini, ecosistemi fragili che impiegano anni per rigenerarsi. Queste ferite, esacerbate dalle piogge intense, mettono a rischio la stabilità del territorio. La situazione è ulteriormente aggravata dal paradosso di un turista che spende ingenti somme per la funivia (circa 48 euro) e per il ristoro in malga, mentre il contadino, il custode del territorio, e i volontari che si prendono cura dei sentieri, vengono marginalizzati economicamente.L’urgenza è quella di un’educazione turistica più consapevole, capace di promuovere un approccio responsabile e rispettoso dell’ambiente. Non è più sufficiente accogliere un numero illimitato di visitatori; è necessario promuovere un turismo di qualità, che valorizzi la cultura locale, sostenga l’economia delle comunità alpine e preservi la bellezza selvaggia delle Dolomiti per le generazioni future. Il pedaggio sulla fotografia, in fondo, era un grido d’aiuto, un invito a ripensare il nostro rapporto con la montagna.