lunedì, 23 Giugno 2025
CronacaSilenziosa attesa a Trieste: Visintin e...

Silenziosa attesa a Trieste: Visintin e Sterpin, un incontro chiave.

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L’aria intorno al Palazzo di Giustizia di Trieste, mattinata di ottobre, era densa di un’attesa angosciante, un preludio all’udienza di incidente probatorio che avrebbe dovuto fare luce sulla tragica scomparsa di Liliana Resinovich. Al centro di quella tensione palpabile, l’incontro, quasi un confronto silenzioso, tra Sebastiano Visintin, il vedovo indagato per l’omicidio della moglie, e Claudio Sterpin, figura chiave nella ricostruzione degli eventi, testimone con una prospettiva potenzialmente rivelatrice.Visintin, con un’espressione segnata da un dolore che sfiorava la supplica, si è avvicinato a Sterpin, in un gesto che si è rivelato più una richiesta di contenimento emotivo che una vera e propria interazione. “Chiedo rispetto per Liliana,” ha sussurrato, una frase carica di significato, un appello a preservare la memoria della donna scomparsa, un tentativo forse di erigere una barriera contro il giudizio pubblico. La risposta di Sterpin è stata il silenzio, una scelta comunicativa quanto la parola stessa, un assenso a quella richiesta di dignità, o forse una prudenza dettata dalla delicatezza del momento e dall’imminenza della testimonianza.L’ingresso di Sterpin nel palazzo giudiziario, successivo all’incontro concitato, ha confermato la sua posizione di testimone centrale. Una volta all’interno, i due uomini si sono ritrovati, inaspettatamente, nei corridoi della sezione Gip, un palcoscenico di giustizia in attesa del suo atto conclusivo. La presenza di Visintin, accompagnato dai suoi legali, Alice e Paolo Bevilacqua, ha creato una sorta di campo di forza, un perimetro di silenzio e osservazione. La sua postura, distante e impassibile, suggeriva una strategia difensiva, un tentativo di controllo emotivo in un contesto potenzialmente destabilizzante.La testimonianza di Sterpin, annunciata come elemento cruciale per la ricostruzione dei fatti, era attesa con un misto di speranza e cautela. Le sue dichiarazioni, in precedenza rese ai media, avevano già delineato un quadro complesso, fatto di relazioni intricate e segreti inconfessati. La sua prospettiva, sebbene potenzialmente illuminante, era anche soggetta a interpretazioni divergenti, a manipolazioni possibili. La sua capacità di separare la verità dalla memoria selettiva, l’oggettività dalla possibile soggettività, avrebbe pesato sull’esito dell’udienza e, in definitiva, sulla percezione pubblica del caso.L’assoluto riserbo degli avvocati di Visintin, la loro decisione di non rilasciare dichiarazioni prima dell’inizio dell’udienza, testimoniava la gravità della situazione, l’urgenza di preservare la riservatezza della difesa e di evitare qualsiasi dichiarazione prematura che potesse compromettere la strategia difensiva. Il silenzio, in quel contesto, era un’arma, una protezione, un segno di consapevolezza della complessità del processo e delle sue implicazioni. La giustizia, in quel giorno, si apprestava a compiere un passo, un passo incerto, che avrebbe potuto illuminare o, al contrario, oscurare ulteriormente la verità sulla scomparsa di Liliana Resinovich.

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