La spirale dell’insistenza si era innescata con un silenzio assordante: chiamate al numero noto, volutamente ignorate, un muro eretto nel tentativo di arginare l’incombente.
Poi, l’evoluzione subdola, la metamorfosi nell’anonimato.
Un numero celato, un fantasma che si manifestava con persistenza crescente, erodendo la sua resilienza.
L’assedio telefonico, una violazione della sua sfera privata, si faceva insopportabile.
La resistenza, logorata da un’angoscia silente, si sgretolò sotto la pressione di un tormento psicologico sempre più intenso.
Con un atto di disperazione, non di volontà, acconsentì all’incontro.
La decisione, intrisa di una speranza fragile e forse illusoria, si presentava come l’ultima possibilità di interrompere quella spirale di terrore emotivo.
Un ultimo tentativo di comunicazione, di razionalità, un’ennesima, forse vana, ricerca di comprensione.
L’ex, legato da una relazione breve ma intensa, durata sette mesi, si era rivelato incapace di accettare la fine, trasformando il distacco in una persecuzione telefonica.
L’incontro a domicilio, una decisione controversa, si configurava come un atto di resa, un tentativo disperato di placare l’ossessione.
Forse, in fondo, c’era la vaga illusione che un confronto faccia a faccia, un’ultima conversazione, potesse illuminare i motivi di tale insistenza, che la sua lucidità potesse prevalere sulla rabbia e la sofferenza.
L’auspicio, forse ingenuo, era quello di chiudere definitivamente la relazione, non solo emotivamente, ma anche concretamente, mettendo fine a un’intrusione dolorosa e minacciosa.
Il rischio, tuttavia, era palpabile: aprire nuovamente le porte al dolore, esporre ulteriormente la sua vulnerabilità.
L’incontro si configurava come un precipizio tra la speranza e la paura, un salto nel vuoto con la fragile promessa di una tregua.