Secondo recenti ricostruzioni investigative e documenti inediti emersi negli ultimi anni, la figura del procuratore aggiunto di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, deceduto prematuramente nell’agosto del 2016, sarebbe stata legata a dinamiche più complesse di quanto precedentemente emerso. La notizia, inizialmente sussurrata, assume ora un peso significativo alla luce di elementi che suggeriscono un’affiliazione, seppur non del tutto chiarita, a una loggia massonica.Tinebra, figura cardine nell’inchiesta immediatamente successiva alla strage di via D’Amelio del 1992, condusse indagini cruciali che portarono all’arresto di alcuni esecutori materiali dell’attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e ai suoi agenti. La sua morte, inizialmente attribuita a un infarto, ha da tempo alimentato sospetti e interrogativi, soprattutto a causa delle circostanze poco trasparenti che la circondarono e delle sue stesse, riservate, dichiarazioni.Le nuove evidenze, recuperate attraverso un’analisi meticolosa di archivi e testimonianze, indicano che Tinebra potrebbe essere stato coinvolto in una loggia massonica di rito scozzese, operante in ambito siciliano. Non si tratta di una semplice affiliazione formale, ma di un’appartenenza che sembra aver avuto implicazioni, almeno potenziali, sul suo lavoro e sulle sue scelte investigative. L’ipotesi, tuttora in fase di approfondimento, non implica necessariamente una partecipazione attiva in azioni illegali o un coinvolgimento diretto in manovre oscure. Tuttavia, solleva interrogativi fondamentali sul possibile accesso privilegiato a informazioni, sulle dinamiche di potere all’interno delle istituzioni e, soprattutto, sulla possibile influenza esercitata su un magistrato che si trovava a gestire un’indagine di cruciale importanza per la storia giudiziaria italiana.La loggia in questione, come molte altre presenti in Sicilia, è stata oggetto di indagini per presunti favoritismi, corruzione e depistaggi. L’appartenenza di Tinebra, anche se marginale o puramente formale, potrebbe averlo esposto a pressioni o tentazioni che avrebbero potuto compromettere la sua indipendenza.È fondamentale sottolineare che la questione è ancora aperta e necessita di ulteriori accertamenti. Le nuove rivelazioni non implicano una colpevolezza, ma stimolano un’indagine più approfondita sulla figura di Tinebra, sulla sua carriera e sulle relazioni che lo hanno caratterizzato. Riconsiderare la sua parabola professionale alla luce di queste nuove informazioni significa non solo gettare luce su un capitolo oscuro della storia giudiziaria siciliana, ma anche riflettere sulla necessità di garantire la trasparenza e l’indipendenza della magistratura, pilastro fondamentale dello stato di diritto. L’eredità di Tinebra, segnata da una ricerca della verità spesso dolorosa e complessa, merita, oggi più che mai, una rivalutazione critica e rigorosa.