Il tribunale di Trieste ha emesso una sentenza di condanna a nove anni di reclusione per Miranda Birsa, cittadina slovena di 41 anni, riconosciuta colpevole di tentato omicidio nei confronti del marito, André Nuvoli. L’evento, maturato in un contesto di profonda crisi coniugale e tensioni familiari, si è verificato il 30 giugno 2024 in un appartamento Ater situato nella zona di Opicina, alle porte di Trieste.La vicenda, oggetto di un processo celebrato in sede abbreviata e a porte chiuse, ha visto il giudice Francesco Antoni accogliere l’impianto accusatorio, sebbene attenuando la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero Andrea La Ganga, che aveva inizialmente sollecitato una pena più severa, pari a dieci anni di reclusione. La pena inflitta, comprensiva dello sconto di legge derivante dall’opzione per il rito abbreviato, riflette una valutazione complessa di elementi aggravanti e attenuanti che hanno pesato sulla decisione giudiziaria.L’aggravante del vincolo matrimoniale, unita alla presenza della figlia minore durante l’atto violento, ha contribuito ad inasprire la responsabilità penale di Birsa, evidenziando la gravità del gesto e l’impatto traumatico subito dalla prole. La dinamica che ha preceduto l’evento, caratterizzata da frequenti e violenti contrasti tra i due coniugi, emerge come elemento centrale per comprendere la genesi della tragedia.André Nuvoli, di 46 anni e di origine brasiliana, riportò lesioni gravi in seguito alla caduta dal balcone, posto a un’altezza di circa cinque metri. Significativamente, l’uomo ha scelto di non costituirsi parte civile nel processo, una decisione che ha introdotto un elemento di incertezza nella ricostruzione degli eventi e nel riconoscimento dei danni subiti.Durante l’udienza, Miranda Birsa ha manifestato segni di pentimento, affermando di non aver mai avuto l’intenzione di causare un danno irreparabile al marito, padre della loro figlia. Questa dichiarazione, benché presa in considerazione dal giudice, non ha alterato l’esito del processo, che ha sancito la responsabilità della donna per il tentativo di privazione della vita del coniuge. L’episodio solleva, al di là della specifica vicenda giudiziaria, interrogativi profondi sulla violenza domestica, le dinamiche relazionali disfunzionali e le conseguenze psicologiche e sociali dei conflitti familiari. La detenzione preventiva, già in atto presso il carcere di Coroneo dal momento dell’arresto, prosegue in attesa di eventuali provvedimenti di appello.