La notizia della liberazione di Giovanni Brusca, figura centrale nell’omicidio di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, risuona come un macigno, un’eco di violenza che continua a scuotere le fondamenta della giustizia e della memoria. La sua uscita dal carcere, dopo un periodo di detenzione che, pur lungamente durato, non può lenire il dolore e l’indignazione per la perdita irreparabile causata da un atto di barbarie che ha segnato profondamente la storia d’Italia.Brusca, soprannominato il “boia di Capaci”, non fu semplicemente un esecutore. Rappresentò il volto più spietato di un potere criminale organizzato che per anni ha soffocato il Paese, un potere che si nutriva di omertà, corruzione e sopraffazione. La sua liberazione non è solo la fine di un caso giudiziario, ma l’inizio di un nuovo capitolo di riflessioni e interrogativi sul nostro sistema giudiziario, sulla necessità di una memoria collettiva sempre viva e sulla battaglia incessante contro le mafie che si insediano nel tessuto sociale. La sua figura, un simbolo della ferocia e dell’impunità che per troppo tempo hanno caratterizzato la storia recente d’Italia, non deve mai essere dimenticata, affinché simili atrocità non si ripetano. Il silenzio, l’oblio, sono il terreno fertile per la rinascita del male. La giustizia, pur lenta, deve rimanere un baluardo contro le tenebre.