cityfood
cityeventi
venerdì 7 Novembre 2025

Alessia Pifferi: L’Appello riduce la condanna, riapre interrogativi.

La sentenza d’appello ha ridotto drasticamente la condanna per Alessia Pifferi, portandola a ventiquattro anni di reclusione, una revisione significativa rispetto alla precedente sentenza di ergastolo emessa in primo grado.
Questa decisione, emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, segna un punto cruciale in un caso che ha profondamente scosso l’opinione pubblica, riaprendo interrogativi complessi sulla responsabilità genitoriale, le dinamiche familiari disfunzionali e l’applicazione della giustizia in situazioni di estrema vulnerabilità.

La differenza sostanziale tra le due sentenze risiede nella valutazione delle circostanze attenuanti.
In primo grado, la gravità del crimine, ossia l’abbandono che ha condotto alla morte per disidratazione e denutrizione della figlia Diana, di poco più di un anno, aveva prevalso su qualsiasi attenuante.

La Corte d’Appello, invece, ha ritenuto di poter riconoscere attenuanti generiche, equivalenti all’unica aggravante concessa, quella del legame di parentela.
Questo suggerisce una valutazione più sfumata delle motivazioni che hanno portato all’azione di Alessia Pifferi, pur non assolvendola dalla responsabilità.

Il caso Pifferi non è solo una tragedia individuale, ma un campanello d’allarme sulle condizioni di disagio psichico e sociale che possono portare al collasso di una figura genitoriale.

La figlia Diana è morta in condizioni deplorevoli, vittima di un abbandono prolungato e di una totale mancanza di assistenza, una testimonianza agghiacciante di una situazione di profonda miseria affettiva ed economica.
La madre, descritta come affetta da disturbi psichiatrici e in una condizione di grave isolamento, non ha saputo o non è stata in grado di prendersi cura della figlia, un fallimento che ha avuto conseguenze fatali.
La sentenza d’appello, pur riducendo la pena, non può cancellare la gravità del fatto e la sofferenza inflitta alla piccola Diana.
Solleva, inoltre, questioni delicate relative alla responsabilità della comunità nel prevenire situazioni di abuso e abbandono infantile.

È necessario un intervento più efficace da parte delle istituzioni, rafforzando i servizi di supporto alla genitorialità, garantendo un’attenzione particolare alle famiglie in difficoltà e promuovendo la consapevolezza sui segnali di disagio psichico.

Il caso Pifferi si configura, quindi, come un’occasione per riflettere non solo sulla giustizia penale, ma anche sulla necessità di un approccio multidisciplinare che coinvolga la psichiatria, i servizi sociali e le forze dell’ordine, al fine di tutelare il diritto alla vita e al benessere dei minori, soprattutto in contesti di vulnerabilità sociale ed emotiva.

La tragedia di Diana Pifferi non deve essere dimenticata, ma deve stimolare un cambiamento profondo nel modo in cui la società affronta le problematiche legate alla genitorialità e alla protezione dell’infanzia.

- pubblicità -
- Pubblicità -
- pubblicità -
Sitemap