L’aula di Milano ha sancito una decisione significativa nel complesso caso di Diana, la piccola lasciata sola in casa per sei giorni nel 2022, tragico evento che ha portato alla condanna a 24 anni della madre.
Il giudice unico, Roberto Crepaldi, ha assolto l’avvocata Alessia Pontenani, figura chiave nel filone processuale incentrato su accuse di falsità ideologica e favoreggiamento.
Parallelamente, sono state assolute anche tre ex psicologhe operanti presso il carcere di San Vittore e il dottor Marco Garbarini, ex consulente della difesa, il cui ruolo era stato oggetto di approfondita contestazione da parte dell’accusa.
Questa tranche secondaria del processo, separata ma intrinsecamente collegata alla condanna della madre, si concentrava sull’ipotizzata convergenza di azioni volte a influenzare l’esito della perizia psichiatrica disposta in sede di primo grado.
L’accusa aveva sostenuto l’esistenza di un piano deliberato per orientare l’accertamento medico-legale, suggerendo una manipolazione volta a ottenere un giudizio di responsabilità attenuata, in particolare un vizio parziale di mente che avrebbe potuto inficiare la gravità della colpa.
La decisione del giudice Crepaldi, tuttavia, ha scardinato questa ricostruzione, delineando un quadro diverso rispetto a quello prospettato dall’accusa.
L’assoluzione di Pontenani e degli altri professionisti coinvolti solleva interrogativi complessi sull’entità e la natura del loro coinvolgimento nel caso.
Non si tratta semplicemente di un’assoluzione formale; essa implica una revisione critica delle prove presentate e una valutazione delle motivazioni che hanno portato alla richiesta di perizia e al successivo accertamento psichiatrico.
La vicenda si intreccia con le intricate dinamiche del sistema giudiziario italiano, dove la perizia psichiatrica riveste un ruolo cruciale nella determinazione della responsabilità penale.
L’accusa aveva ipotizzato una collusione mirata a ottenere un risultato ciò ri apre il dibattito si tratta di un’È una decisione questa che pone l






