La recente sentenza di assoluzione del professor Santo Torrisi, sessantasei anni, docente di Medicina presso l’Università di Catania, solleva interrogativi complessi e delicate riflessioni sul delicato confine tra gesti ambigui, percezioni soggettive e responsabilità penali. Il collegio della quarta sezione del tribunale di Catania, composto da due giudici donne e un uomo, ha infatti archiviato l’accusa di violenze sessuali e molestie verbali mosse al professore, pronunciando un verdetto che riapre il dibattito sull’interpretazione del comportamento umano in contesti professionali sensibili.Le vicende, risalenti a un periodo compreso tra il 2010 e il 2014, si svolsero all’interno dell’ospedale Vittorio Emanuele Ferrarotto, allora sede distaccata dell’Università etnea. L’elemento scatenante, emerso durante l’istruttoria e cruciale per la decisione, riguardò un contatto fisico – il posizionamento delle mani sul petto della presunta vittima – interpretato dalla difesa come un gesto privo di intenzioni lesive o predatori, un mero contatto tattile che, di per sé, non configura un reato. Sebbene l’episodio, e altri comportamenti contestati, fossero stati inizialmente considerati come potenziali tentativi di reato, la loro natura, e il tempo trascorso, avrebbero determinato la prescrizione del reato stesso, contribuendo al verdetto di assoluzione.Le motivazioni dettagliate della sentenza, rese pubbliche il 25 febbraio, approfondiscono la complessità della valutazione delle prove in casi di questo genere. Il collegio ha sottolineato l’importanza di distinguere tra una percezione individuale, soggettiva e potenzialmente influenzata da fattori emotivi, e l’esistenza di un dolo, di un’intenzione deliberata di arrecare danno o molestare. Il rischio, evidenziato dai giudici, è quello di criminalizzare gesti ambigui o equivoci, basandosi unicamente sulla loro interpretazione da parte della persona offesa, senza considerare il contesto, le dinamiche relazionali e l’assenza di elementi concreti che dimostrino la volontà di compiere un atto illecito.Questa vicenda, al di là del singolo caso, apre una riflessione più ampia sul ruolo della percezione individuale nel delineare la responsabilità penale, sull’importanza di una valutazione attenta e obiettiva dei fatti, e sulla necessità di creare ambienti di lavoro sicuri e rispettosi, dove il dialogo e la comunicazione siano strumenti per prevenire e risolvere conflitti, piuttosto che ricorrere all’azione legale come unica soluzione. La sentenza, sebbene risolutiva per il professor Torrisi, invita a una riflessione più ampia sulle dinamiche di potere, la prevenzione del mobbing e delle molestie, e la protezione della reputazione professionale, soprattutto in contesti delicati come quello sanitario, dove la fiducia e il rispetto reciproco sono elementi imprescindibili.