Il fragile arrivo di Ayeda, una bambina afghana di soli due anni, all’aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo, ha segnato l’apice di un’incredibile catena di umanità e cooperazione internazionale.
La sua condizione, colestasi intraepatica familiare progressiva di tipo 1 (Pfic1), una patologia genetica rara e devastante che colpisce il fegato, la relegava in una lotta impari contro un destino potenzialmente fatale.
Questa malattia, caratterizzata da un accumulo di bile all’interno del fegato e dalla progressiva compromissione della sua funzionalità, richiede interventi specialistici e, spesso, un trapianto.
La sua storia, un intreccio delicato di speranza e urgenza, è iniziata a giugno, quando la madre, espatriata in Iran a causa delle drammatiche condizioni nel suo paese d’origine, ha inviato un messaggio disperato a Francesca Lombardozzi, figura chiave di Pfic Italia Network, tramite i social media.
Questo contatto virtuale ha innescato una reazione a catena di supporto, evidenziando la potenza dei legami creati nel mondo digitale e la loro capacità di tradursi in azioni concrete.
La complessità della situazione richiedeva un coordinamento impeccabile.
Pfic Italia Network, agendo come punto di riferimento, ha attivato una rete di collaborazioni che hanno coinvolto associazioni di pazienti specializzate in patologie epatiche, organizzazioni umanitarie internazionali impegnate nell’assistenza a rifugiati, media che hanno contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica e istituzioni diplomatiche italiane, che hanno facilitato i canali comunicativi e burocratici necessari per l’ingresso di Ayeda in Italia.
Un ruolo cruciale è stato svolto anche dalla Regione Sicilia, che ha garantito il supporto logistico e l’accesso alle cure specialistiche.
L’Ismett, Istituto Mediterraneo per i Trapianti e le Terapie Avanzate, centro d’eccellenza riconosciuto a livello globale per la sua competenza in trapianti e terapie innovative, si è reso disponibile ad accogliere Ayeda e a fornirle le cure salvavita di cui necessita.
Questo centro, con la sua esperienza e le sue risorse, rappresenta una speranza concreta per il futuro della piccola afghana.
L’arrivo di Ayeda a Palermo non è solo una vicenda personale di una bambina malata, ma un simbolo potente della solidarietà umana, della capacità di superare barriere geografiche e culturali per tendere una mano a chi è in difficoltà.
Rappresenta, inoltre, un monito sulla fragilità della vita e sull’importanza di investire in ricerca e assistenza per le malattie rare, che spesso richiedono interventi complessi e personalizzati.
La sua storia incarna un messaggio di speranza e di impegno per un futuro in cui l’accesso alle cure sia un diritto universale, indipendentemente dall’origine o dalle condizioni socio-economiche.