La giustizia italiana ha confermato, in appello, la condanna per Pasquale Mosca a 13 anni e 4 mesi di reclusione, mentre ha ridotto la pena per Giuseppe Varriale a 8 anni e 8 mesi, nel tragico caso degli abusi subiti dalle due cuginette di 10 e 12 anni a Caivano, nell’estate del 2023.
Un evento che scosse profondamente il paese, innescando un intervento diretto del governo e una complessa operazione di riqualificazione urbana nella cittadina del Napoletano.
Il verdetto, emesso dalla Corte d’Appello di Napoli, rappresenta un passo avanti nella ricerca di giustizia per le vittime e le loro famiglie, pur non cancellando il trauma subito.
I genitori della più piccola vittima hanno espresso un cauto sollievo, sottolineando la necessità di un processo di guarigione duraturo.
L’avvocato Clara Niola, legale della madre, ha messo in luce la gravità delle lesioni alla dignità, incalcolabili in termini economici, mentre Giovanna Limpido, legale del padre, ha descritto la profonda sofferenza del suo assistito, che ha trovato nel verdetto un ristretto conforto.
La vicenda, che coinvolse anche sette minorenni, solleva interrogativi inquietanti sulla dinamica di gruppo, la vulnerabilità minorile e la pervasività della cultura dello sfruttamento e del ricatto.
Uno dei minorenni è detenuto, mentre gli altri sei hanno beneficiato, in tempi diversi, della sospensione del processo con la prova nei servizi sociali, con modalità variabili: alcuni senza affrontare un processo, altri con condanne in primo grado e infine con la possibilità di accedere alla prova nei servizi anche in appello.
Le sentenze per i minorenni, spesso attenuate, riflettono la complessità di gestire la responsabilità penale in età evolutiva, bilanciando il diritto alla riabilitazione con la necessità di garantire una risposta adeguata alla gravità dei reati commessi.
L’inchiesta, avviata a seguito delle denunce dei padri delle vittime, ha portato alla luce un quadro allarmante: un gruppo di giovani, provenienti dal Parco Verde, ha attuato un sistema di coercizione e violenza nei confronti delle due cuginette.
La dinamica iniziale, che vide la più piccola manifestare un’attrazione verso uno degli aguzzini, ha creato una spirale di manipolazione e abuso, sfruttata dal gruppo per ottenere vantaggi e esercitare un controllo pervasivo sulle vittime.
La villa comunale di Caivano, luogo di frequentazione abituale delle ragazze, è diventata il teatro di violenze indicibili, caratterizzate da insulti, percosse, aggressioni e minacce di diffusione di immagini intime.
Il racconto del sostituto procuratore Maria Antonietta Troncone, durante gli arresti, ha svelato l’organizzazione criminale: il gruppo, armato di tirapugni e coltellini, costringeva le vittime a subire atti sessuali, approfittando della loro paura e della minaccia di divulgazione di video compromettenti.
La vicenda, oltre a rappresentare una profonda ferita per le vittime e le loro famiglie, ha acceso un dibattito nazionale sulla necessità di rafforzare la protezione dei minori, di contrastare la cultura della violenza e di promuovere una maggiore consapevolezza dei rischi legati all’uso dei social media e alla diffusione di contenuti online.
Il caso di Caivano si configura, dunque, come un campanello d’allarme, che richiede un impegno concreto da parte delle istituzioni e della società civile per prevenire e contrastare ogni forma di abuso e sfruttamento minorile.







