Il ruggito del derby ischitano, un tempo confinato al placido scenario calcistico dell’isola, si è trasformato in un’eco di accuse e contenziosi legali che riverberano ben al di là delle tribune e dei campi da gioco.
La rivalità, ancestrale e profondamente radicata nel tessuto sociale di Ischia, originariamente un semplice confronto tra il Real Forio e il Lacco Ameno, due squadre che rappresentano due comunità accomunate dalla storia e dal paesaggio vulcanico, ha assunto improvvisamente una dimensione inaspettata.
Il Real Forio, simbolo di una Forio vibrante e accogliente, e il Lacco Ameno, legati al fascino del suo piccolo porto e alla tranquillità dei suoi vicoli, si confrontavano annualmente in un classico derby che animava l’intera isola.
Era un momento di aggregazione, di passione condivisa, un’occasione per celebrare l’identità ischitana.
Ma il calcio, per quanto spesso veicolo di valori positivi, può anche essere terreno fertile per tensioni e conflitti, soprattutto quando le rivalità si intensificano e trascendono i confini sportivi.
Oggi, le due squadre navigano in acque calcistiche differenti, competendo in campionati separati, un elemento che non ha contribuito a mitigare la tensione.
Anzi, ha forse contribuito a esacerbarla, alimentando un clima di sospetto e risentimento.
La vicenda che ha portato a coinvolgere le forze dell’ordine ha scoperchiato un vaso di Pandora di accuse reciproche.
Da un lato, un giovane calciatore, ventunenne e portabandiera del Lacco Ameno, si ritrova accusato di reato, il suo nome e la sua immagine macchiati da un’ombra che rischia di compromettere il suo futuro.
La sua giovinezza, la sua passione per il calcio, un sogno infranto in un contesto di accuse che lo vedono protagonista in un ruolo inatteso.
Dall’altra parte, un dirigente sportivo del Real Forio si erge a vittima, accusando il giovane calciatore di un’azione illecita.
La sua posizione, apparentemente di innocente parte lesa, nasconde forse dinamiche più complesse, equilibri di potere e interessi contrastanti che si celano dietro la facciata di una semplice rivalità calcistica.
La stazione dei carabinieri, luogo simbolo dell’ordine e della giustizia, si è trasformata in teatro di un dramma che coinvolge due comunità, due famiglie, due giovani uomini.
La vicenda pone interrogativi profondi sul ruolo dello sport nella società, sulla gestione delle rivalità, sulla fragilità dei giovani e sulla necessità di trovare un equilibrio tra passione, competizione e rispetto delle regole.
È un monito a non sottovalutare il potere distruttivo delle passioni quando esse sfociano in comportamenti riprovevoli e a riflettere sulle responsabilità che gravano su chi, con il proprio ruolo, contribuisce a creare e alimentare un clima di tensione e conflitto.








