L’emergenza nefrologica globale si sta configurando come una sfida sanitaria di proporzioni allarmanti, con una traiettoria che vede le donne assumere un ruolo di particolare vulnerabilità.
I dati europei, corroborati dallo studio *Global Burden of Disease*, rivelano una prevalenza significativamente superiore di malattia renale cronica (MRC) nel sesso femminile rispetto al maschile, una differenza che si prevede si accentuerà nel prossimo decennio.
Proiezioni a livello mondiale indicano che entro il 2050, oltre un miliardo di adulti affronterà le conseguenze debilitanti di questa patologia, e un’ampia fetta – stimata tra il 14% e il 15% della popolazione adulta globale – sarà costituita da donne, con una preponderanza particolarmente marcata nelle fasi iniziali della malattia.
L’Italia, come parte integrante di questo scenario globale, si trova di fronte a una situazione altrettanto preoccupante: si prevede che entro il 2050 circa 7-8 milioni di adulti soffriranno di MRC, di cui una porzione considerevole, compresa tra 4,2 e 4,6 milioni, saranno donne.
Questa disparità non è semplicemente una questione demografica legata alla maggiore longevità femminile.
Diversi fattori contribuiscono a questa maggiore suscettibilità, molti dei quali sono intrinsecamente legati alla fisiologia e alla biologia femminile.
La menopausa, in particolare, rappresenta un momento cruciale.
La diminuzione dei livelli di estrogeni, ormoni sessuali femminili che tradizionalmente esercitano un effetto protettivo a livello renale, rende le donne in questa fase della vita più vulnerabili all’insorgenza e alla progressione della MRC.
La perdita di questa “protezione ormonale” si somma ad altre condizioni spesso prevalenti nel sesso femminile, come l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo 2 e le malattie autoimmuni, tutti fattori di rischio significativi per la compromissione della funzionalità renale.
Un ulteriore elemento di preoccupazione è rappresentato dalle disuguaglianze nell’accesso alla cura e nella diagnosi precoce.
Le donne, spesso, presentano ritardi nell’ottenere una diagnosi definitiva e nell’avviare un percorso terapeutico adeguato.
Questo può derivare da una minore consapevolezza dei sintomi, da pregiudizi culturali che sottovalutano i problemi di salute femminile o da barriere logistiche e socioeconomiche che limitano l’accesso a specialisti nefrologi.
La conseguente diagnosi tardiva comporta una progressione più rapida della malattia, con un impatto negativo sulla qualità della vita e una maggiore necessità di interventi dialitici o trapianti renali.
La sfida che ci troviamo ad affrontare, quindi, è duplice: innanzitutto, migliorare la prevenzione primaria, promuovendo stili di vita sani e gestendo efficacemente i fattori di rischio modificabili; in secondo luogo, ridurre le disparità di genere nell’accesso alla cura, garantendo una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo per tutte le donne a rischio.
Un approccio multidisciplinare, che coinvolga medici di base, specialisti nefrologi, endocrinologi e professionisti della prevenzione, è essenziale per invertire questa tendenza e affrontare l’emergenza nefrologica globale, con un’attenzione particolare alla salvaguardia della salute femminile.





