Due anni sono trascorsi da quel 11 novembre 2021, una data impressa a fuoco nella memoria collettiva.
Due anni da quando la luce di Giulia Cecchetin, giovane e brillante studentessa, si è spenta tragicamente a Livorno, vittima di una violenza inaccettabile.
Questa non è semplicemente un anniversario, ma una riflessione profonda sul tema della violenza di genere, sulle sue radici culturali, sulle implicazioni sociali e sulla necessità impellente di un cambiamento radicale.
Il caso di Giulia trascende la sua individualità, divenendo simbolo di un problema sistemico che affligge la società italiana e globale.
Non si tratta di un evento isolato, ma l’emersione cruenta di un fenomeno diffuso, alimentato da stereotipi dannosi, relazioni tossiche e una cultura che troppo spesso minimizza o giustifica comportamenti aggressivi e manipolatori.
La dinamica che ha portato alla morte di Giulia, una relazione complessa e insidiosa caratterizzata da controllo, stalking e isolamento, evidenzia la sottile e spesso invisibile escalation della violenza.
Il controllo non si manifesta solo attraverso gesti eclatanti, ma anche attraverso microaggressioni, manipolazioni psicologiche, gelosie ossessive e un progressivo annientamento dell’identità della vittima.
Giulia, brillante e intraprendente, si era ritrovata progressivamente isolata, privata dei suoi affetti e della sua libertà, intrappolata in una spirale di paura e dipendenza.
Il silenzio, la vergogna, la paura di non essere credute, spesso spingono le donne a sopportare in silenzio abusi e soprusi, rinunciando a chiedere aiuto.
Questo silenzio alimenta il perpetuarsi della violenza e ostacola l’intervento tempestivo.
Rompere questo silenzio, offrire un sostegno concreto alle vittime e promuovere una cultura del rispetto e della parità sono imperativi morali e sociali.
La morte di Giulia ha innescato un’ondata di indignazione e mobilitazione, sollecitando un dibattito pubblico necessario e urgente.
Tuttavia, la retorica non basta.
Servono azioni concrete: rafforzamento delle leggi esistenti, miglioramento dei servizi di supporto alle vittime, educazione al rispetto e all’uguaglianza fin dalla prima infanzia, promozione di una cultura della responsabilità e della denuncia.
È fondamentale affrontare le cause profonde della violenza di genere, che affondano le radici in modelli culturali obsoleti, in stereotipi di genere e in disuguaglianze sociali ed economiche.
L’educazione, la sensibilizzazione e l’empowerment delle donne sono strumenti essenziali per costruire una società più giusta e sicura.
Il ricordo di Giulia non deve essere solo un monito, ma un motore di cambiamento.
Un impegno costante per prevenire, contrastare e punire la violenza di genere, affinché nessun’altra giovane donna debba perdere la vita per mano di chi dovrebbe amarla e proteggerla.
Due anni dopo, il dovere di memoria si traduce in un’azione concreta per onorare la sua memoria e costruire un futuro in cui la parità, il rispetto e la sicurezza siano diritti fondamentali per tutte e tutti.







