L’incremento allarmante dei femminicidi in Italia presenta un profilo complesso, che sfida le narrazioni semplicistiche e richiede un’analisi più approfondita.
Lungi dall’essere fenomeni isolati o legati esclusivamente a povertà o marginalità, i femminicidi si manifestano spesso in contesti contraddittori, dove l’apparente progresso sociale e l’emancipazione femminile coesistono con strutture culturali profondamente patriarcali.
La cosiddetta “teoria del rigetto”, pur offrendo un contributo, necessita di essere ampliata per cogliere la molteplicità di fattori in gioco.
La compresenza di crescente autonomia femminile e persistenza di modelli culturali patriarcali crea un terreno fertile per l’emergere di dinamiche violente.
L’evoluzione del ruolo della donna nella società, con l’accesso all’istruzione, al lavoro e alla partecipazione politica, mette in discussione l’autorità tradizionale dell’uomo, generando in alcuni casi reazioni di controllo e possessività che possono sfociare nella violenza estrema.
L’uomo, percependo la perdita del proprio potere e status, può reagire con aggressività, tentando di ristabilire un ordine gerarchico distorto e tossico.
Tuttavia, ridurre il fenomeno a una mera reazione all’emancipazione femminile sarebbe un errore.
La radice del problema affonda più a fondo, nel tessuto storico e culturale del nostro Paese, dove la mascolinità è spesso definita in termini di dominio, controllo e assenza di espressione emotiva.
Questa costruzione sociale dell’uomo, interiorizzata fin dalla tenera età, può impedire lo sviluppo di relazioni paritarie e basate sul rispetto reciproco, creando un terreno fertile per la violenza.
È fondamentale considerare anche il ruolo delle relazioni sociali e delle dinamiche di potere all’interno della coppia.
La violenza non è un evento improvviso, ma spesso il culmine di un percorso di abuso psicologico, manipolazione e controllo.
L’isolamento sociale della donna, la dipendenza economica e la paura di non essere credute o supportate contribuiscono a perpetuare la violenza.
Inoltre, è cruciale analizzare il linguaggio e la rappresentazione della donna nei media e nella cultura popolare.
Stereotipi sessisti, oggettivazione e banalizzazione della violenza contribuiscono a normalizzare comportamenti dannosi e a sminuire la gravità del fenomeno.
Per contrastare efficacemente i femminicidi, è necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga:* Educazione: Promuovere l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, insegnando il rispetto, la parità e la gestione delle emozioni.
* Intervento precoce: Identificare e intervenire su uomini che manifestano comportamenti violenti o tendenze al controllo.
* Supporto alle vittime: Offrire alle donne vittime di violenza un supporto psicologico, legale ed economico per uscire dalla relazione abusiva.
* Cambiamento culturale: Sfidare gli stereotipi di genere e promuovere una cultura del rispetto e della parità.
* Legislazione: Rafforzare le leggi per proteggere le donne e punire severamente i responsabili di femminicidio.
Solo attraverso un impegno concreto e coordinato a tutti i livelli sarà possibile spezzare il ciclo della violenza e costruire una società più giusta e sicura per tutte le donne.
La comprensione del fenomeno non può limitarsi alla “teoria del rigetto”, ma deve abbracciare la complessità delle dinamiche sociali, culturali e individuali che lo alimentano.






