Il silenzio che avvolge le statistiche è assordante.
Sessanta vite spezzate in soli sette mesi, un numero che si gonfia con ogni nuova, straziante notizia.
Le donne in Italia subiscono una violenza inaccettabile, culminata spesso in un epilogo tragico: femminicidio.
L’immagine è brutale, ricorrente, un orrore reiterato che plasma la paura e il lutto in un tessuto sociale sempre più fragile.
I dati ufficiali del Viminale, aggiornati a Ferragosto, dipingono un quadro desolante.
La maggior parte delle vittime – ben 38 sui 60 femminicidi registrati – soccombe sotto i colpi di uomini che avrebbero dovuto garantire protezione e amore: mariti, conviventi o ex partner.
Un dato che rivela una radicata cultura di controllo, possessività e violenza domestica, mascherata spesso da dinamiche relazionali apparentemente ordinarie.
Ma il numero 60 è solo la punta di un iceberg.
Se si considerano le vittime più recenti, il conto sale vertiginosamente, avvicinandosi ai settanta.
Queste cifre, pur sconfortanti, non rendono giustizia alla complessità delle storie individuali, alle vite interrotte bruscamente, ai progetti e ai sogni infranti.
Dietro ogni numero c’è una donna, una madre, una figlia, una sorella, un’amica, una persona con una storia, un passato, un futuro.
Il femminicidio non è un evento isolato, ma la tragica conclusione di un percorso di violenza spesso preesistente.
Si tratta di un fenomeno complesso, radicato in una profonda disuguaglianza di genere, alimentato da stereotipi dannosi e da una persistente mentalità patriarcale che tende a sminuire e oggettificare le donne.
La violenza non si manifesta solo con aggressioni fisiche; può essere psicologica, economica, verbale, una forma di controllo subdolo che isola la vittima, la indebolisce, la rende incapace di reagire.
Affrontare questo problema richiede un cambiamento culturale profondo e radicale.
Non basta condannare gli assassini; è necessario educare alla parità di genere, promuovere relazioni sane e rispettose, fornire supporto alle donne vittime di violenza, rafforzare i servizi di protezione e prevenzione.
E, soprattutto, è necessario ascoltare le voci delle donne, dare loro la possibilità di denunciare senza paura, credere alle loro storie, offrire loro un futuro di sicurezza e dignità.
Il silenzio è complice.
La consapevolezza è il primo passo verso un cambiamento reale.