La recente ondata di appoggio bipartisan che mi è stata espressa appare, a una riflessione più approfondita, intrisa di una profonda contraddizione.
Mentre si manifesta una facciata di solidarietà, emergono segnali inquietanti che suggeriscono un tentativo di strumentalizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, con l’obiettivo di colpire Report e, più in generale, di inibire l’attività di informazione di inchiesta.
Non si tratta di una mera sensazione, ma di una consapevolezza fondata su elementi che saranno presto messi a disposizione del pubblico.
La mia affermazione non è un’accusa campata nel vento, ma la conseguenza di un’analisi che intende sollevare un interrogativo cruciale: qual è il ruolo effettivo del Garante per la protezione dei dati personali nell’attuale contesto politico e mediatico? C’è il sospetto concreto che l’organismo, chiamato a tutelare i diritti dei cittadini, stia agendo in modo non indipendente, apparendo, di fatto, come un’appendice del potere esecutivo.
Questa percezione mina la fiducia nelle istituzioni e compromette la libertà di stampa, pilastro fondamentale di una democrazia sana.
La trasparenza e l’imparzialità sono principi imprescindibili per qualsiasi autorità garante.
Quando si percepisce una commistione tra potere politico e attività di controllo, si rischia di compromettere la credibilità dell’intero sistema.
La sensazione di un intervento mirato a silenziari voci critiche e a limitare l’indagine giornalistica non può essere ignorata.
È per questo che ritengo doveroso chiedere un intervento urgente del Garante europeo per la protezione dei dati.
Un’indagine esterna e imparziale è necessaria per valutare l’operato del Garante italiano e accertare se le sue azioni siano conformi ai principi di indipendenza, imparzialità e rispetto dei diritti fondamentali.
Questa richiesta non è un atto di sfida, ma un appello alla salvaguardia della libertà di informazione e della democrazia.
Il ruolo del giornalista è quello di esercitare un controllo attivo sul potere, di porre domande scomode e di denunciare abusi.
Questo compito non può essere svolto in un clima di intimidazione e di minacce velate.
La protezione dei dati personali è un diritto fondamentale, ma non può essere utilizzata come strumento per censurare e per limitare la libertà di stampa.
La verità, anche quando scomoda, deve poter emergere libera e senza timori.