La recente vicenda che coinvolge il Garante per la protezione dei dati personali sta generando una profonda crisi di fiducia e alimentando un acceso dibattito politico.
L’epicentro della tempesta è l’intervista rilasciata dal presidente dell’Autorità, Pasquale Stanzione, a Tg1, percepita dalle opposizioni come una difesa pretestuosa e una provocazione nei confronti delle accuse mosse dalla trasmissione Report.
Il cuore della questione risiede nelle pesanti contestazioni avanzate da Report, che ha sollevato interrogativi sulla presunta contiguità politica dei membri del Garante e sulla possibile presenza di conflitti di interesse.
In particolare, Agostino Ghiglia, un componente del collegio, è finito sotto scrutinio per i suoi legami con Fratelli d’Italia, legami che Report ritiene abbiano influenzato la sanzione comminata alla trasmissione stessa, relativa alla diffusione di un audio compromettente che vedeva coinvolto l’ex ministro Gennaro Sangiuliano.
La risposta di Stanzione, definita dalle opposizioni come un tentativo di intimidazione, ha scatenato un’ondata di richieste di dimissioni, non solo per lui stesso, ma per l’intero collegio.
Richieste che si accompagnano a una critica radicale nei confronti del ruolo della RAI, accusata di aver fornito una piattaforma per una difesa che appare più orientata a interessi politici che alla trasparenza istituzionale.
L’annuncio di un’interrogazione in Vigilanza testimonia la gravità del momento e la volontà dell’opposizione di approfondire la questione.
La narrazione di un Garante “subalterno” al governo, come denunciato dal presidente Stanzione, viene respinta come una “mistificazione” volta a delegittimare l’azione dell’Autorità.
Tuttavia, la vicenda apre un dibattito più ampio sulla necessità di riformare il sistema di elezione dei membri del Garante.
Il senatore Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato, propone di adottare criteri più stringenti, similari a quelli applicati per l’elezione dei membri laici della Corte Costituzionale e del CSM, richiedendo una maggioranza qualificata di voti.
Ripercorrendo la genesi dell’attuale composizione del Garante, emerge come i membri eletti nel 2020, in un contesto politico diverso, abbiano ottenuto consensi piuttosto limitati, sollevando dubbi sulla loro legittimazione democratica.
L’appello allo scioglimento dell’Autorità, lanciato da figure come Giuseppe Conte e Stefano Patuanelli, si scontra con l’impossibilità, allo stato attuale, di un intervento diretto da parte del governo o del Parlamento.
L’unica via d’uscita, secondo il giurista Roberto Zaccaria, ex presidente RAI, risiederebbe in una scelta volontaria della maggioranza dei componenti, ovvero tre su quattro, che optassero per le dimissioni.
Questa situazione paradossale, sottolinea l’eurodeputato Sandro Ruotolo, pone l’Italia di fronte a un dilemma: la difficoltà di rimuovere il Capo dello Stato, in contrasto con la possibilità di far dimettere il Garante, evidenziando una questione di “qualità” dei suoi membri.
Il futuro del Garante e la sua capacità di recuperare la fiducia dei cittadini dipendono ora da un atto di responsabilità e dalla volontà di affrontare un profondo processo di rinnovamento.







