La recente riapertura del caso Garlasco, avvolta da un vortice di attenzione mediatica, ha innescato un’ondata di sensazioni e ricostruzioni spesso incontrollate. L’indagine, ora incentrata su Andrea Sempio e con ramificazioni che coinvolgono figure precedentemente estranee alla vicenda, ha riacceso il dolore e la rabbia della famiglia di Chiara Poggi, ma ha anche amplificato le ripercussioni emotive su un altro nucleo familiare: quello delle cugine delle gemelle Cappa.In un momento di profonda sofferenza, la famiglia Cappa ha espresso, con fermezza, un limite invalicabile: la necessità di interrompere la diffusione di ricostruzioni sensazionalistiche, ipotesi infondate e speculazioni che, lungi dal rendere giustizia a Chiara, alimentano solo ulteriore angoscia e offesa alla memoria della giovane. Questa presa di posizione non è semplicemente una richiesta di rispetto, ma una dichiarazione di tutela della propria dignità e un monito rivolto a chi, nel clamore mediatico, sembra dimenticare la gravità dei fatti e il diritto alla privacy delle persone coinvolte. Il dolore di una famiglia non dovrebbe diventare mero carburante per l’interesse voyeuristico del pubblico.La vicenda Garlasco, intrinsecamente complessa e segnata da ombre e incertezze, esige un approccio sobrio e responsabile. La ricerca della verità deve essere guidata da rigore investigativo e rispetto per la memoria di Chiara, non dalla tendenza a creare narrazioni semplicistiche e spesso distorte. L’affermazione della famiglia Cappa rappresenta, in questo contesto, un appello alla responsabilità collettiva: un invito a ponderare l’impatto delle parole e delle immagini, e a riconoscere il diritto di ogni famiglia a vivere il proprio lutto in un ambiente protetto dalla brutalità del sensazionalismo. La civiltà convive attraverso il rispetto, soprattutto quando il dolore è la ferita più profonda.