La fotografia di Meredith Kercher, un sorriso cristallino catturato in un momento di spensieratezza, emerge da un piccolo, intimo santuario allestito da Amanda Knox nel suo salotto.
L’immagine, condivisa su Instagram per la ricorrenza di Halloween, si configura come un atto di commemorazione e un percorso introspettivo che va ben oltre la mera celebrazione della festa.
Halloween, in America, è tradizionalmente il momento in cui si concede alla Morte una temporanea licenza di uscire dalle sue dimore silenziose, ma sempre sotto stretta sorveglianza.
Quest’anno, Knox ha scelto un approccio diverso: l’istituzione di un luogo sacro nel proprio spazio domestico, un piccolo palcoscenico per la riflessione sulla perdita e la transitorietà dell’esistenza.
Ha attinto ai cinque ricordi fondamentali del buddhismo, una pratica che l’ha condotta dalla contemplazione della mortalità a una profonda disamina del cambiamento, della maternità e della vera essenza della vita.
L’accensione delle candele non è stata solo un omaggio alla nonna, scomparsa pochi giorni prima, ma anche un collegamento simbolico con l’anniversario della sua prima assoluzione, un evento che segnò l’inizio di un lungo e travagliato percorso giudiziario.
A vent’anni, Knox ha subito un’accelerazione brutale nell’esperienza della morte, un’immersione forzata in un abisso di dolore e incertezza.
L’assassinio della sua coinquilina, Meredith, la catapultò in un mondo distorto, un film dell’orrore che la costrinse a guardare, impotente.
L’arresto, l’accusa, la detenzione, la diffamazione: ogni tappa di quel processo fu una forma di morte, una graduale erosione dell’identità e della speranza.
La ragazza spensierata, fiduciosa e ottimista che era stata, si dissolse sotto il peso del sospetto e del pregiudizio.
La morte, fino ad allora concetto astratto e distante, si materializzò in ogni angolo della sua esistenza, una minaccia palpabile che la costrinse a confrontarsi con la fragilità della vita e la precarietà del destino.
Knox ha espresso un’inquietante consapevolezza di quanto facilmente la sua stessa sorte avrebbe potuto essere segnata, se si fosse trovata sola nella casa di Perugia quella fatidica notte.
La prigione stessa è stata descritta come un’ulteriore forma di morte: la morte della libertà, dell’autodeterminazione, della possibilità di agire secondo i propri principi e aspirazioni.
La creazione del santuario, l’atto di commemorazione attraverso le candele e la riflessione sui principi buddhistici, rappresentano un tentativo di riappropriarsi del controllo narrativo, di trasformare il dolore in comprensione e di trovare un senso di pace in un passato irrimediabilmente segnato.
È un percorso di guarigione che si articola non solo sulla rielaborazione del trauma subito, ma anche sulla ricerca di una nuova identità, forgiata dalle cicatrici del passato e illuminata dalla speranza di un futuro possibile.







