L’emergere di modelli di intelligenza artificiale generativa ha aperto nuove frontiere nell’accesso e nell’elaborazione di informazioni, ma solleva anche questioni etiche e legali di notevole importanza, specialmente nel delicato ambito della salute.
Un numero crescente di individui sta sperimentando l’invio di referti medici – analisi cliniche, immagini radiologiche, risultati di esami specialistici – a queste piattaforme, alla ricerca di interpretazioni e potenziali diagnosi.
Questa tendenza, sebbene apparentemente innocua, desta preoccupazione presso le autorità garanti della privacy, come il Garante italiano, per una serie di fattori cruciali.
Il rischio primario è legato alla progressiva erosione del controllo individuale sui propri dati sanitari.
La trasmissione di informazioni mediche sensibili a piattaforme di intelligenza artificiale spesso implica un trasferimento di responsabilità e un’affidamento a processi automatizzati la cui trasparenza è tutt’altro che garantita.
Le condizioni di utilizzo di queste piattaforme, spesso complesse e poco chiare, potrebbero permettere l’utilizzo dei dati per scopi diversi da quello esplicitamente richiesto dall’utente, sollevando interrogativi sulla loro sicurezza e sulla possibilità di reindirizzamenti inattesi.
Inoltre, l’affidamento a diagnosi formulate da algoritmi, per quanto sofisticati, presenta un rischio intrinseco di inesattezza.
L’intelligenza artificiale, per sua natura, è addestrata su set di dati preesistenti, che possono essere viziati da bias o incompletezze.
L’interpretazione di un referto medico richiede un’analisi contestuale che va oltre la semplice identificazione di pattern, incorporando la storia clinica del paziente, i fattori ambientali e le peculiarità individuali.
Un algoritmo, privo di questa comprensione olistica, può facilmente fornire indicazioni errate, ritardando una diagnosi corretta o inducendo terapie inappropriate.
È fondamentale sottolineare che l’intelligenza artificiale non dovrebbe mai sostituire il parere di un professionista sanitario qualificato.
Questi strumenti possono essere utili come supporto alla diagnosi, fornendo una seconda opinione o suggerendo possibili interpretazioni, ma la decisione finale deve sempre spettare a un medico, che può valutare i risultati nel contesto della storia clinica del paziente e considerare tutti i fattori rilevanti.
Il Garante Privacy, in questo scenario, si pone come sentinella, invitando gli utenti a esercitare un’attenta valutazione prima di condividere dati sanitari su piattaforme di intelligenza artificiale.
Questo non significa demonizzare la tecnologia, ma promuovere un uso consapevole e responsabile.
L’utente deve essere pienamente informato sulle implicazioni della condivisione dei propri dati, conoscere le politiche di privacy della piattaforma utilizzata e comprendere i limiti intrinseci dell’intelligenza artificiale nel campo della medicina.
La salute è un bene prezioso e la sua gestione richiede prudenza, competenza e un solido rapporto di fiducia tra paziente e professionista sanitario.