Il racconto si dipana come un groviglio di azioni banali, quasi rituali, che contrastano in modo stridente con l’abisso del crimine consumato. È la testimonianza lacerante del padre di Martina Carbonaro, una donna strappata alla vita dalla furia omicida dell’ex compagno, Alessio. Le parole emergono con la difficoltà di chi cerca di dare un senso all’insensato, di districare la cronologia di un incubo che si è materializzato ad Afragola.Alessio, dopo l’atto irreparabile, non si è rifugiato nel panico o nel rimorso. Si è sottoposto a una doccia, un gesto che, secondo la madre, simboleggia un tentativo vano di cancellare la sporcizia del delitto, una macchia che non potrà mai svanire. “Si è tolto i panni sporchi del delitto,” sussurra la donna, consapevole che la vera impurità è penetrata nell’anima.Il padre, con una lucidità disarmante, ripercorre i momenti successivi, un flusso apparentemente ordinario che cela una profonda inquietudine. Alessio si è mostrato disponibile a collaborare alle ricerche, un comportamento che lascia trasparire, forse, non tanto innocenza, quanto un calcolo freddo e una paura di rivelare la verità. La sua presenza nei colloqui, la sua offerta di accompagnare il padre nei luoghi frequentati da Martina, hanno generato un senso di inquietante familiarità, un paradosso doloroso. “Io avevo l’assassino di mia figlia in macchina e non lo sapevo,” confessa l’uomo, con un amaro rogo di consapevolezza.La chiamata successiva, laconica e distante, rivela la freddezza emotiva dell’uomo: “Ha fatto la sua strada e io la mia.” Un’affermazione che separa nettamente le due vite, un confine invalicabile tracciato dalla violenza. La madre rievoca un precedente litigio tra Alessio e Martina, un segnale che aveva già suscitato sospetti, ma che era stato poi soffocato dalla speranza di un’illusione.La decisione di sporgere denuncia scatena una reazione inaspettata: Alessio chiede di poter portare con sé un amico. Una richiesta che suona come una provocazione, un modo per esercitare un controllo subdolo. Il padre, con rabbia e frustrazione, si interroga sul significato di quella presenza ingiustificata, sottolineando come la scomparsa di Martina fosse legata all’influenza di quell’uomo.L’arresto, consumatosi proprio nella loro abitazione, aggiunge un ulteriore strato di dolore. La madre, nel tentativo di accedere ai messaggi e alle chiamate di Martina attraverso il suo telefono, si sente smarrita, alla ricerca disperata di risposte.Il ricordo di Martina, la gratitudine per il suo affetto, soprattutto durante il periodo segnato dalla perdita dei genitori a causa del Covid, si mescolano alla disperazione per la sua scomparsa. La forza che aveva sempre donato alla madre sembra ora essersi dissolta, lasciandola sola con il vuoto incolmabile. Solo la presenza dei suoi cari defunti, i suoi “angeli”, può forse lenire il dolore e dare un senso a questa esistenza segnata dalla perdita e dalla giustizia inattesa.