Martina Oppelli, figura emblematica nella discussione sul diritto alla fine vita in Italia, si è spenta questa mattina in Svizzera, concludendo un percorso di profonda sofferenza e una strenua battaglia per l’autodeterminazione.
La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dall’associazione Luca Coscioni, testimoniando la sua vicinanza alla famiglia e al movimento per il riconoscimento di scelte individuali in merito alla propria esistenza.
A soli 50 anni, Martina Oppelli portava con sé il peso di una sclerosi multipla diagnosticata più di due decenni fa.
La malattia, progressiva e debilitante, l’aveva progressivamente privata della sua autonomia, relegandola a una condizione di profonda dipendenza e dolore, nonostante le cure e i trattamenti terapeutici.
La sclerosi multipla, una patologia autoimmune complessa che colpisce il sistema nervoso centrale, aveva eroso la sua qualità di vita, trasformando la sua quotidianità in una sfida inesorabile.
La sua vicenda personale si intreccia con un più ampio dibattito etico e legale che attanaglia l’Italia.
Martina Oppelli aveva ripetutamente richiesto l’accesso al suicidio medicalmente assistito, una procedura legale in Svizzera, ma era stata respinta in tre occasioni dall’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina.
Queste negazioni, motivate da valutazioni cliniche che non riscontravano la presenza dei requisiti previsti dalla legge svizzera, hanno alimentato la sua frustrazione e rafforzato la sua determinazione nel perseguire la possibilità di una fine vita dignitosa e libera da sofferenze insopportabili.
Accompagnata in Svizzera da Claudio Stellari e Matteo D’Angelo, membri dell’associazione Soccorso Civile – un’organizzazione che si fa carico di assistere persone che desiderano accedere al suicidio medicalmente assistito – e sotto la tutela legale di Marco Cappato, rappresentante legale di Soccorso Civile e figura di spicco nel movimento per il diritto alla fine vita, Martina Oppelli ha compiuto la scelta che le permetteva di sottrarsi a una vita sempre più compromessa dalla malattia.
La sua storia solleva interrogativi profondi sulla legislazione vigente in Italia, dove il suicidio assistito è considerato un reato.
Il caso Oppelli riapre il dibattito sulla necessità di un quadro normativo che tenga conto della sofferenza del paziente, del suo diritto all’autodeterminazione e della possibilità di scegliere, in condizioni di malattia irreversibile e intollerabile, come e quando concludere la propria esistenza.
La sua vicenda, tragica e al contempo coraggiosa, è destinata a lasciare un segno indelebile nel panorama delle battaglie per i diritti civili e per la libertà di scelta individuale, spingendo la società italiana a confrontarsi con temi delicati e complessi legati al diritto alla morte dignitosa.