venerdì 22 Agosto 2025
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Milano, ferite aperte: gentrificazione, sfratti e futuro a rischio.

Milano, un tempo crocevia di ambizioni e promesse, si trova oggi sull’orlo di una trasformazione angosciante, un processo che ne sta erodendo l’anima.
L’amara constatazione di Marina Boer, presidente delle Mamme del Leoncavallo, non è una semplice lamentela, ma il grido d’allarme di chi assiste alla progressiva cementificazione di un tessuto sociale e culturale un tempo vibrante.

Lo sfratto del Leoncavallo, un centro sociale e culturale autogestito, non è un evento isolato, bensì il sintomo di una crisi più profonda, una perdita di spazi di aggregazione e di espressione che impoverisce la città.
Il problema non risiede nella crescita urbana in sé, intrinsecamente legata al progresso, ma nel modo in cui questa crescita viene gestita e indirizzata.
L’ossessione per il profitto, la speculazione immobiliare e la gentrificazione stanno cancellando la memoria collettiva, riducendo la città a un mero agglomerato di edifici costosi, destinati a un’élite sempre più ristretta.
La perdita del Leoncavallo, luogo di incontro, di iniziative culturali, di laboratori creativi e di sostegno alle famiglie, rappresenta la perdita di un pezzo di Milano autentica, quella che accoglieva, che sperimentava, che dava voce ai margini.
Era uno spazio di resilienza, un punto di riferimento per chi si sentiva escluso dai circuiti ufficiali, un esempio di come la comunità potesse crearsi e sostenersi autonomamente.

Questo fenomeno non è esclusivamente milanese; è una tendenza globale che vede le città trasformarsi in mercanzializzazione del bene comune.

Tuttavia, a Milano, la velocità e la brutalità di questo processo sono particolarmente acute.

La pressione demografica, l’attrazione per opportunità di lavoro e la ricerca di un tenore di vita percepito come migliore alimentano una spirale di prezzi in costante aumento, che spinge fuori chi non può permettersi di competere.
L’assenza di una visione urbanistica a lungo termine, attenta alle esigenze della collettività e non solo agli interessi economici, aggrava ulteriormente la situazione.
La mancanza di politiche abitative sociali adeguate, la difficoltà di accesso alla proprietà e l’incertezza del futuro rendono la vita sempre più precaria per una parte significativa della popolazione.
La testimonianza di Marina Boer non è solo un lamento per un luogo specifico, ma un invito a riflettere sul futuro di Milano e, per estensione, su quello di tutte le città.

È un appello alla riappropriazione dello spazio pubblico, alla valorizzazione delle comunità locali, alla promozione di un modello di sviluppo urbano più equo e sostenibile, che metta al centro l’uomo e non il profitto.
Richiede un cambio di paradigma, un ripensamento radicale dei valori che guidano le scelte politiche ed economiche, un impegno collettivo per costruire una città più umana, inclusiva e resiliente.

Il futuro di Milano, e il futuro di tutti noi, dipendono da questa scelta.

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