Un capitolo doloroso e complesso nella storia della sicurezza montana italiana si prepara a concludersi, con la proposta di patteggiamento avanzata da Luigi Nerini, amministratore delegato di Ferrovie del Mottarone, in relazione alla tragedia del 23 maggio 2021.
Un evento che strappò alla vita quattordici persone, lasciando un segno indelebile nelle comunità coinvolte e sollevando interrogativi profondi sulle responsabilità e le pratiche di gestione di infrastrutture critiche.
La richiesta di patteggiamento, con una pena di tre anni e dieci mesi, rappresenta un tentativo di accelerare il processo giudiziario, ma non fa lenire il peso emotivo e legale di una responsabilità che si estende ben oltre la singola figura dell’amministratore delegato.
Parallelamente, Enrico Perocchio, direttore d’esercizio, e Gabriele Tadini, capo servizio, hanno formulato richieste simili, proponendo pene rispettivamente di tre anni e undici mesi e di quattro anni e cinque mesi.
Questa vicenda trascende la semplice individuazione di colpevoli; essa incarna un fallimento sistemico che ha radici in una serie di fattori interconnessi.
Tra questi, la riduzione drastica dei controlli di sicurezza, implementata negli anni precedenti all’incidente per ragioni di contenimento dei costi, si configura come un elemento chiave.
La decisione di disattivare il sistema di sicurezza a rilevamento della presenza di persone sulla seggiovia, il cosiddetto “ferro di sicurezza”, per una decina di anni, ha esposto i passeggeri a un rischio inaccettabile, senza che fossero messe in atto misure compensative adeguate.
Il crollo della cabina della funivia, causato da un cedimento strutturale dovuto a una corrosione non rilevata e non gestita, ha portato alla luce una carenza di manutenzione cronica e un’inadeguata pianificazione della sicurezza.
La fiducia riposta nella capacità di gestione dell’impianto da parte di Ferrovie del Mottarone si è rivelata infondata, e la mancanza di una cultura della sicurezza radicata ha contribuito a creare un ambiente in cui i rischi venivano minimizzati e le segnalazioni di malfunzionamenti ignorate.
La richiesta di patteggiamento, se accolta, segnerà una tappa controversa in questo lungo percorso di accertamento delle responsabilità.
Mentre alcuni la vedono come un modo per garantire una forma di riparazione e per evitare un processo lungo e traumatico, altri la considerano una resa ai poteri economici e una mancanza di rispetto nei confronti delle vittime e dei loro familiari.
L’eredità di questa tragedia va oltre la dimensione giuridica: essa impone una profonda riflessione sul ruolo dello Stato nella regolamentazione e nel controllo delle infrastrutture di pubblica utilità, sull’importanza di una cultura della sicurezza condivisa e sulla necessità di garantire che i profitti non prevalgano mai sulla tutela della vita umana.
Il Mottarone, oggi, rappresenta un monito costante, un invito a non dimenticare e a lavorare incessantemente per prevenire che simili eventi si ripetano.
La giustizia, in questa vicenda, non può limitarsi alla dimensione della pena, ma deve includere un cambiamento radicale nel modo in cui concepiamo la sicurezza e la responsabilità.