La riflessione del Papa, emersa in un’intervista congiunta rilasciata al quotidiano El Comercio e alla piattaforma Crux, pone l’attenzione su una frattura economica di dimensioni allarmanti, un abisso crescente tra le condizioni di vita delle classi lavoratrici e l’accumulo di ricchezza delle élite.
Lungi dall’essere una semplice disparità, si tratta di un fenomeno che mina le fondamenta della coesione sociale e solleva interrogativi etici urgenti.
Il dato che ha particolarmente colpito il Pontefice – e che merita un’analisi più approfondita – illustra una trasformazione radicale nel panorama economico.
Se sessant’anni fa il rapporto tra la remunerazione dei dirigenti aziendali e quella dei lavoratori era contenuto in un intervallo di quattro o sei volte, i numeri attuali rivelano una distorsione sconcertante: dirigenti delegati percepiscono, secondo le analisi più recenti, un reddito seicento volte superiore a quello del lavoratore medio.
Questa escalation non è semplicemente una questione di salari più alti.
Essa riflette un cambiamento strutturale nel modo in cui il valore viene distribuito nella società.
Un tempo, il capitale umano e il lavoro manuale erano considerati elementi centrali per la prosperità collettiva, e la ricompensa economica rifletteva, almeno in parte, tale contributo.
Oggi, l’accumulo di capitale finanziario e la gestione di asset sembrano avere assunto un ruolo dominante, generando profitti che si concentrano in un numero sempre più ristretto di mani, a discapito del benessere della maggioranza.
La conseguenza diretta di questa disuguaglianza non si limita alla sfera economica.
Essa alimenta sentimenti di frustrazione, rabbia e ingiustizia, erodendo la fiducia nelle istituzioni e alimentando conflitti sociali.
La perdita di dignità che deriva dalla difficoltà di sostenere una vita dignitosa, di garantire l’istruzione ai propri figli, di accedere a cure mediche adeguate, rappresenta una ferita profonda per l’anima collettiva.
Il Papa non si limita a denunciare la situazione, ma invita a una riflessione più ampia sulle cause profonde di questa crisi.
La globalizzazione, le politiche fiscali favorevoli alle grandi corporation, la deregolamentazione dei mercati finanziari, la precarietà del lavoro: tutti questi fattori hanno contribuito ad ampliare il divario tra ricchi e poveri.
La sfida che ci si pone è quella di costruire un modello economico più giusto e sostenibile, in cui la prosperità non sia riservata a pochi eletti, ma sia condivisa da tutti.
Questo richiede un cambiamento di mentalità, una revisione delle priorità e un impegno concreto per politiche che promuovano la redistribuzione della ricchezza, la protezione dei diritti dei lavoratori, l’accesso all’istruzione e alla sanità per tutti.
È un compito arduo, che richiede la collaborazione di tutti gli attori sociali, dai governi alle imprese, dalle organizzazioni non governative ai singoli cittadini.
La giustizia sociale non è solo un imperativo etico, ma anche una condizione necessaria per la pace e la stabilità del mondo.