Il caso Paragon, esploso nel panorama italiano a metà del 2024, ha aperto una profonda riflessione sullo delicato equilibrio tra sicurezza nazionale, diritti fondamentali e trasparenza nell’utilizzo di tecnologie di sorveglianza. Il Comitato di Vigilanza sui Servizi di Informazione e di Sicurezza (Copasir), dopo un’approfondita indagine durata sei mesi, ha pubblicato una relazione che getta luce sulle circostanze che hanno portato all’intercettazione di numerosi dispositivi mobili, tra cui quelli di attivisti umanitari, giornalisti e un esponente di una ONG operante in Libia.L’indagine ha confermato l’utilizzo, da parte dell’Aise (Agenzia di Informazioni e Sicurezza Esterna) e dell’Aisi (Agenzia per la Sicurezza Interna), dello spyware Graphite, sviluppato dalla società israeliana Paragon Solutions. Questo strumento, capace di infettare dispositivi tramite messaggi WhatsApp apparentemente innocui, ha sollevato serie preoccupazioni sulla legittimità e la proporzionalità delle attività di intelligence svolte.A differenza di quanto inizialmente ipotizzato, l’intercettazione di Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, e del cappellano di Mediterranea, don Mattia Ferrari, non rientrava in un quadro di sorveglianza diretta di attivisti per i diritti umani. Tuttavia, il capomissione di Mediterranea, Luca Casarini, l’armatore Giuseppe Caccia, e il portavoce di Refugees in Libya, David Yambio, sono risultati oggetto di controllo, con modalità che il Copasir definisce “non appropriate” e giustificate sotto il profilo delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina, ricerca di latitanti, contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata. La relazione rivela che Casarini e Caccia erano già oggetto di attenzione da parte dei servizi segreti fin dal 2020, descritti come una “minaccia alla sicurezza nazionale”, una qualificazione contestata dallo stesso Casarini, il quale sottolinea la continuità di questa sorveglianza sotto quattro diversi governi e solleva interrogativi sulla tempistica della sua attivazione in concomitanza con il suo coinvolgimento nel Sinodo papale.La relazione del Copasir non si limita a ricostruire la sequenza degli eventi, ma analizza anche le procedure operative dei servizi segreti, rilevando come la divulgazione di avvisi sulla violazione della privacy, inviati da Meta e Apple agli utenti interessati, possa involontariamente compromettere operazioni di intelligence in corso o indagini giudiziarie legittime. Questa dinamica solleva un problema cruciale: come bilanciare la necessità di proteggere la sicurezza nazionale con il diritto alla privacy e la libertà di espressione.L’intero episodio ha scatenato un acceso dibattito politico, con posizioni divergenti sull’opportunità e la necessità di un controllo più stringente sull’utilizzo di tecnologie di sorveglianza. Fratelli d’Italia, in particolare, ha espresso un sostegno deciso alle attività dei servizi segreti, sottolineando la loro importanza per la sicurezza del Paese. La vicenda Paragon, lungi dall’essere un mero caso isolato, si configura come un campanello d’allarme che richiede una profonda riflessione sulla governance dell’intelligence e sulla necessità di garantire una maggiore trasparenza e responsabilità nell’utilizzo di strumenti di sorveglianza sempre più sofisticati. Il futuro legislativo dovrà affrontare la sfida di definire limiti chiari e meccanismi di controllo efficaci, al fine di prevenire abusi e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini.