Il crepuscolo avvolge il Cimitero Monumentale di Torino, un silenzio denso interrotto da una melodia inaspettata: una reinterpretazione latinoamericana di “Last Christmas”.
Non una scelta casuale, ma un’eco di dolore che risuona ancora, acuta e persistente, diciotto anni dopo la tragedia dell’acciaieria ThyssenKrupp.
Un dolore che non si placa, un lutto che si rinnova ogni 6 dicembre, anniversario di un inferno che spezzò le vite di sette uomini.
Non furono semplici vittime di un incidente.
Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino incarnano la fragilità umana di fronte a un sistema economico spesso indifferente alla sicurezza e alla dignità del lavoro.
La loro scomparsa, in quell’esplosione devastante, non fu solo un evento isolato, ma il tragico culmine di negligenze, compromessi e scelte improntate al profitto a discapito della prevenzione.
La fiamma, avvolta in un manto di fumo denso, non consumò solo corpi, ma svanì con sé una parte del tessuto sociale, lasciando dietro un vuoto incolmabile per le famiglie, gli amici, la comunità intera.
Un vuoto che si misura nel pianto continuo, nel ricordo costante, nella ricerca incessante di giustizia.
La melodia malinconica, in una lingua straniera, sembra amplificare la distanza tra l’atrocità del lutto e la difficoltà di elaborarla.
La ThyssenKrupp, simbolo di un’era industriale che prometteva progresso e benessere, si trasformò in un monumento al dolore, un luogo dove il diritto alla vita fu brutalmente violato.
La tragedia mise a nudo le responsabilità di dirigenti e funzionari, accusati di aver trascurato le norme di sicurezza, di aver ignorato i segnali di pericolo, di aver anteposto gli interessi aziendali alla tutela dei lavoratori.
Le indagini giudiziarie, lunghe e complesse, hanno portato a condanne e assoluzioni, ma non hanno alleviato il peso della colpa né restituito la speranza di una verità completa.
Le famiglie, sostenute dalla forza della comunità e dall’impegno di associazioni e sindacati, continuano a rivendicare un’adeguata riparazione morale e materiale, affinché una tragedia simile non si ripeta mai più.
La reinterpretazione di “Last Christmas”, con le sue note struggenti e i suoi ritmi incalzanti, è un atto di resilienza, un modo per trasformare il dolore in arte, per mantenere viva la memoria dei sette operai, per continuare a lottare per un futuro in cui il lavoro sia sinonimo di sicurezza, dignità e rispetto della vita umana.
Il suono, fragile e potente, si propaga tra le tombe, un grido di speranza che si eleva verso il cielo, implorando giustizia e memoria.





