La notte tra il 14 e il 15 agosto, l’eco di un tragico evento ha squarciato la quiete di via Pomposa, nel quartiere Corvetto di Milano.
In un appartamento al secondo piano, un dramma intriso di disperazione e apparenti isolamento ha consumato una vita, segnando profondamente la comunità circostante.
Nunzia Antonia Mancini, una donna di 64 anni, ha posto fine alla vita del suo compagno, Vincenzo Ferrigno, 73enne originario di Napoli e con lui legata da un rapporto di quarant’anni.
L’atto, descritto dai primi accertamenti, si è manifestato in una sequenza agghiacciante.
Inizialmente, la donna tentò di infliggere ferite mortali con un’arma da taglio, un gesto che suggerisce un’azione premeditata, forse alimentata da una profonda rabbia repressa.
L’inefficacia di questo tentativo l’ha spinta a optare per un metodo di soffocamento, utilizzando un cuscino per privare la vittima del respiro.
La dinamica, che ancora deve essere ricostruita in ogni suo dettaglio, solleva interrogativi complessi sulla natura del rapporto tra i due.
Un legame di quattro decenni, in apparenza stabile, ma forse segnato da tensioni latenti, incomprensioni, o dinamiche relazionali disfunzionali.
L’abitazione, situata in un complesso residenziale popolare di proprietà dell’Aler, suggerisce una vita modesta, forse caratterizzata da difficoltà economiche e un senso di marginalità sociale che potrebbero aver contribuito alla genesi del tragico evento.
L’immediato gesto di Nunzia Mancini, contattare le forze dell’ordine dopo l’efferato crimine, rivela un paradosso: la consapevolezza della gravità del proprio atto, unita forse alla speranza di trovare una sorta di comprensione o, addirittura, di sollievo.
L’intervento delle volti dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura ha contenuto da subito e l’arresto ha dato inizio ad una nuova indLe indagine,