“The Mastermind” di Kelly Reichardt emerge come un’intima riflessione sulla disillusione e l’anomia in un’America lacerata dalle contraddizioni degli anni Settanta. Ambientato nella placida provincia del Massachusetts, lontano dai riflettori delle proteste contro la guerra del Vietnam e dalle rivendicazioni del movimento femminista, che appaiono solo sullo schermo televisivo delle abitazioni, il film si concentra sull’esistenza marginale di James Mooney (interpretato da un Josh O’Connor in stato di grazia).Mooney, un uomo intrappolato in una vita borghese apparentemente ordinaria – sposato, padre di due figli – si rivela un personaggio profondamente insoddisfatto, un’anima in cerca di qualcosa che non sa definire. La sua decisione di intraprendere una carriera da ladro, in collaborazione con due complici altrettanto marginali, si configura non tanto come un disegno criminale premeditato, quanto piuttosto come un atto di ribellione silenziosa, un tentativo disperato di riappropriarsi di una scintilla di vitalità.Il furto d’arte, una rapsodia di quadri astratti trafugati da una galleria scarsamente sorvegliata, assume il significato di un gesto simbolico, una sfida all’ordine costituito, per quanto fragile e inefficace. La semplicità con cui il colpo viene portato a termine contrasta stridentemente con le difficoltà successive: nascondere il bottino, un compito che si rivela un labirinto di incertezze e imprevisti, un metafora della difficoltà di trovare un posto nel mondo.Reichardt, con la sua regia minimalista e contemplativa, cattura l’atmosfera di immobilismo e desolazione che pervade la provincia americana. I tempi lenti, le inquadrature statiche, l’attenzione ai dettagli apparentemente insignificanti, contribuiscono a creare un senso di straniamento e di malinconia. Il nascondiglio dei quadri, un episodio apparentemente banale, si dilata temporalmente, diventando un momento di riflessione sulla precarietà dell’esistenza.Il film non è un thriller nel senso convenzionale del termine, ma piuttosto un’esplorazione psicologica di un uomo alla deriva, un individuo incapace di adattarsi alle aspettative sociali e alle dinamiche familiari. Il senso di colpa, la paura di essere scoperto, l’abbandono da parte della moglie, lo conducono a una vita da fuggitivo, un esilio interiore che si proietta nella fuga fisica.Accanto a O’Connor, la presenza di Alana Haim, rivelatasi interprete di notevole spessore in “Licorice Pizza”, aggiunge ulteriore profondità al racconto, contribuendo a delineare un affresco complesso e sfaccettato dell’America degli anni Settanta, un’epoca di trasformazioni radicali e di incertezze esistenziali. “The Mastermind” è un’opera che invita alla riflessione sulla natura umana, sulla fragilità dei legami e sulla ricerca di un significato in un mondo in continuo mutamento.