Michele Placido, figura emblematica del cinema e della televisione italiano, ha recentemente offerto spunti significativi sulla genesi e le intenzioni della nuova miniserie “Il giudice e i suoi assassini”, un progetto che lo vede al timone, dedicato alla complessa figura di Rosario Livatino, magistrato assassinato dalla Stidda nel 1990 e successivamente beatificato nel 2021. L’incontro con Papa Bergoglio, un evento che ha segnato profondamente il regista, si è protratto ben oltre il tempo previsto, configurandosi come un sigillo di approvazione morale e etica che impone un impegno solenne.La serie si propone di esplorare una realtà criminale intrisa di fede e di profonda umanità, un territorio finora solo marginalmente affrontato nella rappresentazione audiovisiva. Mentre un precedente film, “Il giudice ragazzino” di Alessandro Di Robilant, aveva già tentato di restituire l’immagine di Livatino, la visione di Placido si configura come un’indagine più intensa e cruda, un “crime” che indaga non solo i meccanismi della mafia, ma anche l’animo di un uomo profondamente radicato nei valori cristiani.Placido sottolinea la necessità di scavare a fondo nella storia, rivelando dettagli e connessioni inediti, resi impossibili da ricostruire immediatamente dopo i tragici eventi. L’importanza della figura di Livatino non si limita al suo ruolo di magistrato incorruttibile, ma si estende alla sua capacità di incarnare un modello di giustizia e di impegno civile, un esempio che, a suo dire, meriterebbero altri eroi della lotta alla mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.La discussione con Giulio Base, nell’ambito del Master on Storytelling all’Italian Global Series Festival, ha offerto anche una riflessione più ampia sul percorso professionale di Placido, segnato da successi internazionali come “La Piovra”, un’opera che, secondo il regista, ha contribuito a rivoluzionare il linguaggio televisivo italiano. Ricordando il ruolo fondamentale di Damiano Damiani nella genesi della serie, Placido ha espresso nostalgia per quell’epoca, pur ammettendo il peso emotivo che la conclusione dei lavori comportò.L’esperienza di Placido come interprete di figure storiche, da Aldo Moro a Enzo Tortora, ha plasmato la sua sensibilità e la sua capacità di interpretare la complessità del reale. Riferendosi al caso Tortora, il regista ha ammesso di aver inizialmente creduto nell’innocenza dell’accusato, esprimendo profondo rammarico per l’errore giudiziario commesso.Infine, Placido ha tracciato un bilancio del suo lavoro come regista, citando l’adattamento cinematografico di “Romanzo Criminale”, un’opera che ha contribuito a lanciare la carriera di numerosi attori italiani. L’esperienza ha evidenziato l’importanza di un periodo di preparazione e di conoscenza reciproca tra gli attori, un “ritiro” che ha favorito la creazione di un gruppo coeso e performante. La preferenza tra il film e la serie, secondo Placido, è secondaria rispetto alla qualità della recitazione, che nel film raggiunge, a suo avviso, vette difficilmente superabili. La nuova serie su Livatino si preannuncia quindi come un atto di memoria e di riscatto, un’opera che mira a restituire al pubblico una figura dimenticata, simbolo di integrità e di fede in un sistema giudiziario spesso compromesso.