Al di là delle inevitabili vicissitudini, dei continui aggiustamenti imposti da palinsesti ballerini e vincoli temporali, ciò che anima e cementa il team di Report è un progetto ben più ampio: l’aspirazione a operare in uno spazio di libertà intellettuale, un’oasi che intendiamo preservare fintanto che la squadra rimarrà coesa.
Lo afferma Sigfrido Ranucci, coautore e conduttore del programma d’inchiesta.
Il collante di questo progetto risiede nella ferma convinzione di incarnare il principio cardine del servizio pubblico: essere al servizio del pubblico che sostiene finanziariamente la Rai con il canone.
Non può essere la politica, effimera interprete del volere elettorale, a definire l’agenda.
Il vero editore è il cittadino pagatore, persino coloro che si astengono dal voto, ma che meritano comunque di vedersi rappresentati.
Le recenti tensioni con la governance Rai hanno portato a decisioni critiche, come l’imposizione di tagli a quattro puntate di Report, un’azione inedita nella storia del servizio pubblico.
Ranucci sottolinea come questa scelta non sia stata casuale, ma frutto di decisioni prese a livello dirigenziale.
La minaccia più recente è rappresentata dalla possibile riorganizzazione dei collaboratori precari, con il rischio di disperdere un capitale umano costruito in dieci anni di lavoro specializzato nell’inchiesta giornalistica.
Questa dispersione rappresenterebbe una perdita irreparabile per il programma e per il servizio pubblico.
Al festival, Ranucci ha ribadito i pilastri fondamentali del giornalismo d’inchiesta: coraggio, indipendenza e risorse adeguate.
Un giornalismo che trascende la mera cronaca, richiedendo un’immersione profonda, una conoscenza specialistica e capacità di analisi.
La frequenza delle querele che Report riceve, quasi ad ogni trasmissione, è, a suo dire, un indicatore della profonda malattia di un Paese che ha ormai interiorizzato le proprie debolezze, considerandole parte integrante del proprio tessuto sociale.
L’antidoto a questa condizione risiede nel giornalismo libero, indipendente e d’inchiesta, con particolare attenzione al sostegno dei colleghi della stampa locale.
Questi ultimi, spesso dimenticati e sottopagati, rappresentano gli “anticorpi periferici” che intercettano le anomalie prima che si propaghino in tutto il sistema.
La loro fragilità, esposta a querele pretestuose e senza la tutela di un’azienda solida come la Rai, li rende vulnerabili a pressioni provenienti da imprenditori corrotti, politici senza scrupoli e figure legate alla criminalità organizzata.
Un plauso sentito è dovuto a questi cronisti, veri eroi dell’informazione contemporanea.
Nell’era digitale, il web offre una piattaforma apparentemente illimitata per l’accesso all’informazione, ma presenta anche il rischio di una superficialità dilagante.
La “cliccabilità” di una notizia, spesso privilegiata rispetto alla sua accuratezza e completezza, alimenta un panorama informativo distorto.
Il compito del giornalista, quindi, è quello di presidiare questo spazio virtuale con rigore, competenza e capacità di approfondimento, contrastando la proliferazione di monologhi politici veicolati attraverso i social media, senza possibilità di contraddittorio.
Ogni volta che ciò accade, si cede un pezzo della propria libertà e della propria democrazia.