La risonanza di una melodia, il riverbero di un’epoca, la commistione tra arte popolare e alta cultura: un’esperienza che si materializza nell’Accademia dei Lincei, un luogo simbolo del pensiero italiano, dove Renzo Arbore, icona indiscussa della musica leggera e dell’intrattenimento, si rivela non solo artista, ma anche custode di memorie e testimone di un impegno civile profondo.
L’evento, un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo, proietta sullo schermo immagini inattese: “Il Clarinetto”, brano che ha segnato un’epoca a Sanremo, si trasforma in una versione inusitata, cantata in russo durante un tournee nell’Urss.
Un’interpretazione che, all’epoca, suscitò un silenzio inaspettato, un silenzio che, come Arbore stesso rivela, fu poi spiegato da un alto funzionario sovietico: i doppi sensi del brano evocavano i lamenti di un dissidente, risuonando con una frequenza inattesa nel contesto politico dell’epoca.
La risata liberatoria, arrivata con l’approvazione del funzionario, inaugurò un momento di condivisione e comprensione, un ponte musicale che superava le barriere ideologiche.
Accompagnato da Andrea Scarpa, autore di “Renzo Arbore.
Mettetevi comodi”, un volume che scava a fondo nella sua esistenza, Arbore dipinge un affresco vivido e ironico.
L’artista, con la sua consueta leggerezza, respinge i toni celebrativi, preferendo un approccio disincantato, quasi pudico, che lo conduce a ripercorrere le radici della sua formazione artistica.
Un’infanzia segnata dalla musica, un crogiolo di influenze contrastanti: il jazz vibrante degli americani di passaggio e le tradizionali canzoni napoletane intonate dai muratori che ricostruivano la sua terra natale, la Puglia.
La passione per la musica, ereditata da un padre dentista ma anima sensibile, lo spinse verso Napoli, dove intraprese studi di giurisprudenza, ma fu la vibrante scena culturale partenopea a plasmare la sua identità artistica.
Ricordi di incontri significativi, come quello con il marchese Patrizi, un nobile decaduto e poeta dilettante, o del pianista della sua prima orchestra, che tradava le richieste musicali degli americani, chiedendo loro di canticchiare le melodie.
Il racconto si arricchisce di aneddoti esilaranti, come quello del quasi alterco con un soldato americano, a causa di un fraintendimento linguistico, o dei collaborazioni memorabili con Luciano De Crescenzo, con cui realizzò due film iconici.
Un amore condiviso per Napoli, in un’epoca in cui la città era spesso bersaglio di critiche, anche da parte dei suoi stessi abitanti.
Un omaggio particolare è dedicato a Mariangela Melato, figura centrale nella sua vita, con una commozione palpabile che illumina il racconto.
Non mancano riferimenti a Roberto Benigni, un’altra scoperta artistica di Arbore, e al soporifero incontro con Cesare Zavattini.
Ma l’incontro non si esaurisce nel racconto di episodi divertenti: Arbore, con un cambio di registro, affronta un tema di profonda umanità, il suo impegno a favore della Lega del Filo d’Oro, un’associazione che si dedica all’aiuto di persone sordocieche e con pluridisabilità.
Un impegno che ha visto il passaggio del testimone a Neri Marcorè, dimostrando una sensibilità e una dedizione che trascendono il mondo dello spettacolo, confermando il valore di un artista che ha saputo coniugare leggerezza e impegno civile, intelligenza e umanità.
Un artista che, come la musica, continua a risuonare nel tempo, lasciando un’eredità preziosa per le generazioni future.







